Con la drastica discesa delle temperature anche la chiusura della rotta balcanica, in vigore dalla scorsa primavera, mostra senza veli il volto della sua nefasta malvagità. Bloccati in Serbia, costretti a marce forzate, se non a deportazioni, i migranti cadono nella neve: congelati, morti di freddo e di gelo.
Sono migliaia. Intere famiglie, giovani soli o minori non accompagnati. Molti non hanno nemmeno abiti adatti al clima invernale. 7.000 profughi circa in Serbia secondo l’Unhcr, ma secondo stime delle organizzazioni locali circa 10.000, di cui 6.000 ospitati nelle strutture ufficiali e solo 3.140 adatti all’inverno; il resto dorme fuori in edifici abbandonnati di Belgrado o sui confini, alcuni persino nei boschi, a meno 20 di notte, e 30 cm di neve. I casi di ipotermia si sono drammaticamente moltiplicati, sette a Belgrado trattati da MSF e Médecins du Monde a Belgrade, nelle sole ultime 24 ore, e quattro morti per assideramento nella sola prima settimana di gennaio sui confini bulgaro-turco e greco-macedone.
Il 6 gennaio, i cadaveri di due giovani iracheni di 28 e 35 anni, sono stati ritrovati dagli abitanti del paese di Izvor nella regione di Burgas, vicino al monte Strandzha. Morti per assideramento, in una zona nota ai migranti illegali perché sprovvista di recinti. Solo quattro giorni prima, il 2 gennaio 2017, era stato trovato il corpo di una donna somala, morta congelata vicino al paese di Ravadinovo. Stremata, secondo il racconto dei 31 compagni di viaggio afghani, pakistani, era stata abandonnata, perché troppo debole per proseguire. Prima vittima della Frontiera 2017 dei Balcani.
Due adolescenti dello stesso gruppo di età 14 e16 anni, sono stati portati in ospedale per un inizio di congelamento degli arti inferiori. Gente con provenienze, storie e sogni diversi, ma vittime della stessa morte: freddo, fame, disperazione. Testimoni passati nella regione sud-est della Bulgaria, vicino al confine turco, raccontano di cadaveri stesi nelle foreste.
Dal 6 ottobre scorso, il confine bulgaro-turco è pattugliato dalla nuova agenzia di controllo della frontiera Schengen, mentre Bruxelles ha già stanziato 108 milioni di euro a Sofia per costruire nuove barriere anti-migranti, oltre a quella già realizzata alla frontiera con la Turchia. In programma anche l’acquisto di 50 veicoli per la sorveglianza dei confini. I coordinatori dell’ong Bordermonitoring Bulgaria- che monitora i diritti dei rifugiati nel paese - spiegano che le guardie europee non sono capaci e nemmeno attrezzate per impedire o prevenire quelle morti.
Andrea Contenta, esperto di affari umanitari di Médecins Sans Frontières, afferma che la situazione “ è molto più grave di quanto sembra. Il congelamento fa sì che il sangue non raggiunga le estremità del corpo, addormenta i nervi e nei casi più gravi può essere trattato solo con l’amputazione perché i tessuti muoiono. Sono certo che il numero di casi aumenterà significativamente entro la fine della settimana”. E aggiunge “l’inverno è un fenomeno naturale che non possiamo controllare. Il vero problema è la mancanza di volontà politica per cercare di soddisfare le esigenze immediate di queste persone vulnerabili. È un fallimento dell’Unione Europea, che ha chiuso gli occhi davanti al fatto lampante che le proprie politiche mal pianificate non hanno fermato il flusso di persone, ma non hanno nemmeno predisposto alternative legali per permettere loro di viaggiare in modo sicuro”.
Un po' come essere tornati alla seconda guerra mondiale, immersi nella tragica fatalità delle marce forzate nel gelo, di morte per sfinimento e freddo. Una silenziosa eliminazione. Il 3 gennaio scorso, su un altro confine a Nord della Grecia, nella cittadina frontaliera di Didymoteicho, un ventenne afghano è deceduto dopo aver attraversato il fiume Evros. Le autorità vicino al confine turco, hanno tra l’altro segnalato un aumento di migranti che tentano la traversata nella regione dell’Evros, la falla nella rotta balcanica
Nel dicembre scorso un giovane iracheno era stato costretto dai trafficanti ad abandonnare la propria sorella mentre passavano il confine bulgaro, perché stremata stentava a camminare. È stata ritrovata, ma ormai senza vita. Così come un diciottenne afghano ritrovato morto dal lato bulgaro, nel villagio di Kosovo, a un kilometro dal confine serbo. La provincia è quella di Vidin, già teatro di simili incidenti. Nell’inverno 2014, quattro rifugiati erano morti di gelo nei pressi di Kireevo e a settembre 2016, cinque profughi, tra cui 4 bimbi, sono annegati nel Danubio.
Anche le deportazioni illegali, in aumento da mesi sulla rotta balcanica, come denuncia Unhcr, possono avere conseguenze mortali. Due donne curdo-siriane e un bimbo di due anni sono stati salvati dall'ipotermia. È accaduto il 17 dicembre scorso, nel corso di una deportazione illegale da Belgrado, sul confine bulgaro, grazie ai soccorsi inviati da un’attivista di Info-Park (un associazione locale che offre assistenza ai rifugiati nel cuore di Belgrado). Al gruppo dei richiedenti asilo -7 persone- era stato assegnato un posto nel campo di accoglienza di Bosiljgrad, a centro-sud della Serbia. Il bus delle "joint forces che li trasferiva, li ha abbandonnati sui monti del confine serbo-bulgaro, a temperature di 11 gradi sotto zero. Quanti altri casi come questi e quanti profughi sono morti negli ultimi anni sui confini europei dei balcani non si saprà probabilmente mai. Restano solo i rapporti dell’Unhcr, di ong locali, o delle polizie di frontiere a raccontarci l’orrore vissuto dai migranti intrappolati, in transito o respinti dal filo spinato di confini invalicabili. Gelo e indifferenza. L' EUROPA 2017 detta l'agenda della propria storia.