sabato 28 gennaio 2017

Trump: fuori dagli Usa i musulmani, tranne quelli che fanno affari con lui




WASHINGTON, DC - 27 gennaio: il primo ministro britannico Theresa May con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump



Il presidente Trump vieta ufficialmente ai cittadini di sette paesi musulmani di entrare negli Stati Uniti per almeno 90 giorni. Dalla lista nera esclude però alcuni paesi musulmani, che pure hanno forti legami con il terrorismo.

Sorprende non poco l'ordine firmato al Pentagono che sospende il rilascio dei visti o permessi di viaggio a persone provenienti da Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan e Yemen.
Sbalordisce perché non un solo americano è stato ucciso da cittadini di uno di questi paesi tra il 1975 e il 2015, mentre ben quasi 3.000 americani sono stati uccisi, nello stesso periodo di tempo, da persone originarie di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Turchia . La maggior parte delle vittime viene conteggiata negli attacchi dell' 11 settembre. A dirlo non è una statistica qualunque, ma quella stilata dal Cato Institute, gruppo di sapienti d'orientamento libertarian, con sede a Washington.
Eppure, nessun cittadino di questi quattro paesi verrà cacciato al momento del proprio ingresso negli Stati Uniti 

IL fatto è che il tycoon newyorkese coltiva grandi interessi commerciali in alcuni dei paesi esclusi dalla lista. Il suo tentacolare impero ha impostato accordi, afferrato licenze miliardarie per lo sviluppo dei Paesi arabi. Gli affari di Trump all'estero interessano anche Azerbajan, Indonesia, Panama. Ma è dir poco: almeno 111 società a lui legate hanno stretto affari in 18 Paesi stranieri
Gli affari sono concentrati soprattutto nell'area alberghiera e immobiliare, con una codina ambigua che arriva fino in Turchia, da dove un costruttore, dal 2014 ad oggi, ha versato al presidente americano le bellezza di 10 milioni di dollari, per una licenza che gli consente di poter chiamare Trump Towers Istanbul il suo grattacielo.

Il cosiddetto "blind trust",  tradizionale strumento scelto dai presidente americani per fugare sospetti sul conflitto di interessi, per Trump è anche meno di un optional. Il presidente eletto rifiuta categoricamente di affidare il suo impero globale ad gestione indipendente. Dice che l'azienda di famiglia continuerà ad essere gestita dai figli; ai quali nessuno potrà evidentemente impedire di concludere affari con investitori stranieri che mirino alla potenza del padre presidente.



ARABIA SAUDITA
Non si sa molto sull'ammanigliamento di Trump ai sauditi. Ma qualche informazione l'abbiamo. Nell'agosto del 2015, due mesi dopo la discesa in politica, il miliardario ha registrato 8 società, presumibilmente collegate ad affari nel settore alberghiero in città straniere. Lo si deduce dalla tipicità tutta "trumpiana" dei nomi assegnati ad alcune di esse: THC Jeddah Hotel e DT Jeddah Technical Services. Jedda, appunto, seconda città dell'Arabia Saudita per importanza. (fonte, Washington Post)


E che i sauditi siano entrati a pieno titolo nelle grazie del Trump non è un mistero.
"Comprano appartamenti da me, spendendo tra i 40 e i 50 milioni di dollari - ha detto recentemente mentre si trovava in Alabama - Dovrebbero forse non piacermi? Mi piacciono molto, invece"!

E poco importa se un rapporto d'intelligence avverta l'America che il governo saudita, insieme con i suoi cittadini più facoltosi, ha finanziato il radicalismo musulmano attraverso le moschee e le sedicenti associazioni di beneficienza presenti sul territorio degli Stati Uniti, proprio nel periodo precedente gli attacchi dell'11 settembre.
Chissenefrega se i 19 dirottatori erano in stretto contatto con filo-terroristi sauditi nelle ore dell'attacco alle Torri Gemelle. Durante l'orrore che ha cambiato il volto di Manhattan, di New York; ferito il cuore dell'America e del mondo. Business is business.


Invano le Nazioni Unite esortano Trump a consentire l'ingresso dei rifugiati.

D.Bart.

Yemen: carestia e bombe. Milioni di bambini soffrono la fame

L 'inasprimento dei combattimenti e degli attacchi aerei rischia di sterminare il popolo  yemenita.  Oltre 18 milioni di persone non hanno cibo.
In Yemen è in corso la "più grave crisi alimentare nel mondo, e se non si interviene subito si rischia la carestia". 
Ma chi ascolterà l'allarme, la richiesta di aiuto lanciata dal capo degli affari umanitari dell'Onu, Stephen O'Brien? Durante una riunione del Consiglio di Sicurezza.  O'Brien ha detto che " 2,2 milioni di bambini soffrono la fame".
Circa 10 milioni di yemeniti, inoltre, hanno bisogno di assistenza immediata per sopravvivere. L 'escalation del conflitto ha messo in ginocchio i due terzi della popolazione dello Yemen che ora  ha estremo bisogno di aiuti umanitari.

Nello Yemen è in corso una guerra civile che coinvolge l’esercito governativo, i ribelli sciiti houthi, i miliziani di Al Qaeda e una coalizione di paesi arabi guidati dall’Arabia Saudita. Dal marzo del 2015 il conflitto ha ucciso più di settemila persone e ne ha ferite 37mila.
Il 14 novembre scorso l’Organizzazione mondiale della sanità ha detto che il paese rischia un’epidemia di colera.

D.Bart.

venerdì 27 gennaio 2017

Razza nemica. Persecuzione e sterminio degli ebrei in Europa.


Come è stato possibile che migliaia di individui, uomini e donne, tranquilli, normali, civili cittadini abbiano potuto non soltanto aderire ideologicamente, ma anche partecipare attivamente alla persecuzione e all'uccisione della minoranza ebraica in Europa?
La domanda accompagna da anni generazioni di studenti che per la prima volta affrontano i testi di Storia.
Per capirlo - almeno in parte- può essere utile prendere in considerazione il ruolo svolto dalla propaganda antisemita nella Germania nazista e nell'Italia fascista.
Nella Settimana della Memoria, la Fondazione Museo della Shoah di Roma, propone una rassegna intitolata: "La razza nemica. La propaganda antisemita nazista e fascista”.
La mostra -  aperta dal 30 gennaio al 7 maggio 2017 nella Casina dei Vallati al Portico d'Ottavia-
analizza le ragioni, le dinamiche e le forme del fenomeno.
La memoria s'avventura  passo-passo lungo il percorso tortuoso e malandato che portò centinaia di civili  alla condivisione-o alla tolleranza- dello  scellerato piano Hitleriano. Le ragioni che contribuirono a rendere pienamente attuabile la persecuzione e lo sterminio di milioni di ebrei emergono evidenti tra manifesti, fotografie, oggettistica, giornali e riviste dell'epoca, insieme a documentari, film e corti di animazione. La propaganda antisemita non viene affidata solo ai mezzi di comunicazione di massa, ma è presente nella quotidianità della vita sociale e rintracciabile negli oggetti di uso comune come boccali e schiaccianoci, cartoline e francobolli, libretti dell'assicurazione medica, (dove veniva riportata la scritta: Meidet jüdische Ärze - Evitate medici ebrei), e persino nei giochi dei lunapark.
L 'esposizione è curata da Marcello Pezzetti e da Sara Berger: sapienti ed efficaci nel porre in successione la graduale e crescente propaganda antisemita che in Germania e in Italia andava tracciando il solco dell'avversione nel cuore della gente. Una sorta di filo rosso dell'odio su un duplice piano narrativo: da un lato l'evoluzione dell'antisemitismo in Europa dall'inizio del '900, dall'altro il ruolo centrale assegnato da fascismo e nazismo ai nascenti mezzi di comunicazione di massa per dare sostegno e giustificazione alle leggi razziali e alla shoah.
"La miglior propaganda è quella che penetra nella vita in maniera pressoché impercettibile", affermò Joseph Goebbels, ministro della propaganda, in un discorso nel 1941. Ed è proprio la sequenza di questa  persuasione occulta e capillare, poi via via sempre più manifesta e violenta, a delineare il percorso della mostra. A mostrare come, attraverso la potenza di immagini e slogan,  la propaganda preparò il terreno alle misure persecutorie, all'isolamento nei ghetti, alle deportazioni.
Fino allo sterminio nei lager.
D.Bart.

mercoledì 25 gennaio 2017

Siria, "bambini sotto le bombe" mentre ad Astana si discute di pace.


 SIRIA . A due settimane dall’inizio di  tregua parziale, centinaia di migliaia di bambini sono ancora intrappolati sotto le bombe, soli e senza alcun  aiuto, dal momento che le aree assediate sono difficili se non impossibili da raggiungere. "I bambini se ne stanno rannicchiati a causa dei continui bombardamenti e vanno a letto affamati".
L'allarme lanciato da Save the Children rappresenta anche un'accusa contro "i potenti" riuniti ad Astana, dove sono in corso i negoziati di pace tra le parti coinvolte nel conflitto siriano. 
"Questi colloqui rischiano di andare avanti in un universo parallelo”. Questa la denuncia di Sonia Khush, direttore di Save the Children in Siria, preoccupata del  rischio che i colloqui di pace si concentrino sui vantaggi militari e politici, a spese dei più vulnerabili.
“Dopo anni di trattative fallite e di promesse non mantenute, questi colloqui devono essere qualcosa di più di un momento per le parti in causa per discutere cinicamente i propri interesse - continua la Khush -. Devono lavorare insieme nell’interesse della prossima generazione della Siria, quella che dovrà un giorno ricostruire il paese".
Da Astana, in sostanza, dovrebbe uscire l' accordo per un cessate il fuoco duraturo.  Ma è anche fondamentale che le voci e le esigenze dei bambini siano adeguatamente rappresentate in questa fase di colloqui. La consegna degli aiuti, la protezione dei civili devono essere al primo posto dell’agenda delle discussioni.
Le Nazioni Unite indicano questo gennaio come uno dei mesi peggiori per gli ostacoli alla consegna degli aiuti. I convogli umanitari hanno raggiunto solo una delle quindici aree assediate. E se, apparentemente, è in corso un parziale cessate il fuoco,  i civili continuano a sopravvivere sotto l'attacco continuo dei cecchini e dei bombardamenti.
“La casa del mio vicino è stata colpita da bombardamenti. Una madre ha dovuto dare alla luce suo figlio proprio mentre era in corso un attacco, ma il bambino è morto. Sono stati chiesti aiuti, ma è stato due mesi fa e ancora non abbiamo ricevuto niente”, racconta Rula, un’insegnante di Madaya. La città, al cui interno si stima vi siano 20 mila bambini sotto assedio e senza aiuti, è stata vittima di uno dei più intensi bombardamenti. Nelle prime due settimane dell’anno, nel solo governatorato del nord di Idlib in cui attualmente si riparano oltre 750 mila sfollati, si sono verificati 72 attacchi armati, tra cui 46 bombardamenti aerei.
Save the Children, che opera in Siria sia con operatori propri che attraverso organizzazioni partner, invoca un cessate il fuoco globale e duraturo, con la fine dell’utilizzo di armi esplosive mortali in aree popolate e l’accesso immediato degli aiuti alle aree assediate e difficili da raggiungere.
Unicef comunica che con Deir Ez Zor assediata, oltre 40 mila bimbi si trovano in costante in pericolo.
7 milioni di questi bambini vivono in povertà.
D.Bart.

lunedì 23 gennaio 2017

Sotto accusa Inglesi e Americani per attacchi aerei sauditi in Yemen











Adel al-Jubeir, ministro degli Esteri in Arabia Saudita, spiega e difende il ruolo degli   alti gradi militari britannici e americani nella guerra in Yemen
"Si trovano nel centro di comando e controllo degli attacchi aerei sauditi in Yemen , hanno accesso alle liste degli obiettivi, ma non partecipano alla loro scelta. Siamo noi a decidere i bersagli".
Secondo stime delle Nazioni Unite, quasi 3.000 civili sono stati uccisi in Yemen dalla guerra civile scoppiata nel mese di marzo. Un milione gli sfollati, in un Paese ora a serio rischio di carestia.
Il governo britannico, autorizzando l'esportazione di missili e attrezzature militari di fabbricazione inglese in Arabia Saudita, materiale bellico che potrebbe essere stato utilizzato per uccidere i civili, rischia l'accusa di violazione del diritto internazionale .
Il Ministero della Difesa britannico si difende, confermando che le forze britanniche sono presenti in sede operativa, ma solo per fornire formazione e consulenza "sulle migliori pratiche tecniche di targeting per contribuire a garantire il rispetto permanente del diritto umanitario internazionale", nell'ambito di un accordo di lunga data.
"Il personale militare del Regno Unito non è  direttamente coinvolto nelle operazioni della coalizione saudite-led", ha precisato una portavoce.
Ma i gruppi per i diritti umani, il Parlamento Europeo e le Nazioni Unite esprimono forti preoccupazioni per gli attacchi aerei sferrati in Yemen dalla coalizione saudita a sostegno del governo riconosciuto a livello internazionale.
"Il mio paese non ha nulla da nascondere. Molti funzionari stranieri hanno visitato il centro di comando e controllo della campagna aerea; hanno visto gli elenchi di destinazione, e sono  rimasti soddisfatti dalle sue garanzie." -  ha detto il ministro saudita ai giornalisti, a Londra, dopo l'incontro con i ministri britannici e il Segretario di Stato, John Kerry.
Ha anche precisato che l'Arabia Saudita usa bombe intelligenti per il targeting di precisione, valutando le conseguenze di ogni intervento, correggendo eventuali difetti nella procedura. "L'idea che stiamo bombardando civili indiscriminatamente  non nasce dai fatti,  è semplicemente sbagliata", ha detto.
Ma Amnesty International  mette  in guardia contro "un modello di spaventoso disprezzo per la vita dei civili come quello elaborato dalla coalizione militare in Arabia Saudita-led".  L'ONU ha espresso preoccupazioni simili.
L'anno scorso raid guidati dalla coalizione Arabia hanno colpito una clinica mobile di MSF,  l'ospedale e diverse scuole. Sono  stati presi di mira anche impianti di energia elettrica e acquedotti.
D. Bart

venerdì 20 gennaio 2017

Israele: terminato il muro di confine con Egitto. 230 Km

Una barriera alta cinque metri, sormontata da filo spinato, torri di controllo alte 30 metri, telecamere di sicurezza e allarmi. Israele ha terminato così la costruzione della parte più imponente del muro di confine con l’Egitto.  Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha partecipato ad una cerimonia che segna la conclusione  della prima sezione, lunga 230 chilometri. Nei prossimi tre mesi verrà realizzata la parte terminale, lunga 14 chilometri, dopodiché  il muro si estenderà dal porto israeliano di Eliat, sul Mar Rosso, fino alla Striscia di Gaza, affacciata sul Mediterraneo.

La costruzione della barriera era iniziata nel novembre 2011 per impedire l’arrivo in Israele di immigrati clandestini e le incursioni di presunti terroristi islamici. Eventi che si erano intensificati  dopo la caduta del regime egiziano di Hosni Mubarak – avvenuta nel febbraio 2011 – e il conseguente vuoto di potere  nella regione del Sinai. Attualmente il nuovo governo egiziano sta cercando di arginare il fenomeno.

Netanyahu, da sempre favorevole alla protezione dei confini,  ha velocizzato i lavori di costruzione della barriera, mentre la sicurezza e la lotta all’immigrazione clandestina sono diventati i  punti cardine della sua campagna elettorale in vista del voto del 22 gennaio. Il suo governo ha anche espulso alcuni immigrati e imposto sanzioni penali a chi li assume senza permesso di lavoro. Negli ultimi anni più di 60 mila africani, provenienti soprattutto dal Sudan e dall’Eritrea, sono entrati illegalmente in Israele in cerca di lavoro o per rifugiarsi dalle persecuzioni nei loro paesi. Molti di loro avevano subito gravi maltrattamenti prima di essere ingiustamente discriminati anche una volta giunti in Israele.

Il muro lungo il confine dell’Egitto è il quarto costruito da Israele a protezione dei confini con gli stati vicini: oltre a quello che lo separa da Gaza e dalla Cisgiordania, lo scorso aprile il paese aveva realizzato anche una barriera al confine con il Libano: due chilometri di lunghezza per sette di altezza allo scopo di prevenire ulteriori, nuovi attacchi.

lunedì 16 gennaio 2017

Ungheria. Orban: «In arresto tutti i migranti durante la pratica di richiesta asilo.


Non è abbastanza la barriera metallica installata per cacciare i profughi. Il premier ungherese Viktor Orban vuole ora alzare un muro anche tra il diritto magiaro e quello umanitario internazionale. Decide quindi di ripristinare in Ungheria la custodia cautelare per gli immigrati durante la pratica di richiesta d' asilo. E poiché la totalità degli stranieri che bussano alle porte di Budapest sono richiedenti asilo, vuol dire mettere agli arresti tutti i profughi nell’attesa che venga esaminata la domanda di protezione umanitaria. In pratica tutti parificati a presunti criminali in attesa di giudizio.
Lo stesso Orban ne ha dato notizia alla radio pubblica Mr. Sotto le pressioni dell’Ue e dell’Onu, l’Ungheria aveva sospeso questa prassi nel 2013, ben prima dell’ondata di arrivi lungo la rotta balcanica. «La misura va contro le norme internazionali, precedentemente accettate anche dall’Ungheria. Lo sappiamo – ha detto sprezzante  Orban – ma lo faremo lo stesso». Insomma,  profughi  ostaggio di un governo. L’arresto sistematico è «apertamente contro l’Ue», ha continuato Orban, ma «dobbiamo proteggere la nostra sovranità» dalla minaccia rappresentata dai migranti chiaramente "collegati agli attentati terroristici».
Già in occasione del giuramento dei nuovi cadetti della guardia di frontiera, il premier aveva affermato che l’emergenza immigrazione non diminuirà, perché  l’Ungheria non può affidarsi a una soluzione qualunque da parte dell’Ue. Secondo Orban i migranti rappresentano «un rischio » per la cultura e la sicurezza degli ungheresi oltre che  una minaccia sul fronte del terrorismo. Per questo motivo, ha spiegato, l’Ungheria deve sorvegliare anche più di prima i suoi confini.
«In Europa, viviamo il tempo dell’ingenuità e dell’incapacità: gli immigrati sono vittime dei trafficanti, ma anche dei politici europei, che incoraggiano la migrazione con la politica di accoglienza », ha detto ancora Orban. «Da noi, non ci saranno camion che investono chi festeggia», ha concluso ricordando le stragi di Berlino e di Nizza. I tribunali magiari, però, hanno mostrato più volte di avere una differente concezione dello stato di diritto.
La corte di Szeged, città al confine con la Serbia, ha appena  condannato a tre anni di libertà vigilata la videoreporter che nel 2015  fece lo sgambetto ad alcuni profughi, facendo cadere a terra un uomo con in braccio il suo bambino di 7 anni, mentre tentavano di sottrarsi a una carica della polizia. Il filmato con le immagini che inchiodavano Petra Laszlo aveva fatto il giro del mondo suscitando profondo sdegno e unanime solidarietà nei confronti del siriano Osama Abdul Mohsen e di suo figlio Zaid. La cameraman non era presente in tribunale al momento della sentenza, ma si è fatta viva da una località sconosciuta cercando, in lacrime, di giustificarsi e difendersi, sostenendo di avere agito in quel modo perché in preda al panico durante la calca.
Ma tant'è. Szilard Nemeth, vicecapogruppo parlamentare del partito di maggioranza Fidesz, di cui Orban è il leader, ha lanciato un pesante avvertimento ad organizzazioni come Amnesty International e altre sigle impegnate nella promozione dei diritti umani. «È venuto il tempo di spazzare via le associazioni civiche che rappresentano il capitale globale, e il mondo del politically correct», ha detto Nemeth, annunciando che in futuro saranno sottoposte a uno stretto controllo.

sabato 14 gennaio 2017

Papa con Abu Mazen: nuovi negoziati diretti per pace in Medioriente


Il Presidente palestinese è a Roma per inaugurare l'ambasciata presso la Santa Sede

La sala stampa vaticana parla di rapporti "cordiali", tra il presidente dello Stato di Palestina, Abu Mazen e il Papa. Buoni sarebbero anche i contatti  tra il presidente e il segretario di Stato, Pietro Parolin, accompagnato da mons. Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. "Nel corso dei cordiali colloqui - spiega il comunicato della sala stampa - si sono rilevati anzitutto i buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e la Palestina, suggellati dall'Accordo globale del 2015, che riguarda aspetti essenziali della vita e dell'attività della Chiesa nella società palestinese. In tale contesto, si è ricordato l'importante contributo dei Cattolici in favore della promozione della dignità umana e in aiuto dei più bisognosi, particolarmente nei campi dell'educazione, della salute e dell'assistenza". Francesco e Abu Mazen avrebbero parlato a lungo del processo di pace in Medio Oriente, esprimendo la speranza che possano riprendere i negoziati diretti tra le Parti. Impellente la necessità di porre fine alla violenza che causa inaccettabili sofferenze alle popolazioni civili. Entrambi si dicono d'accordo per una soluzione giusta e duratura. A tale scopo, si invoca  il sostegno della Comunità internazionale verso misure che favoriscano la reciproca fiducia e contribuiscano al raggiungimento di decisioni coraggiose in favore della pace". Infine è stata ribadita l'importanza della salvaguardia del carattere sacro dei Luoghi Santi per i credenti di tutte e tre le religioni abramitiche.

" Il Vaticano ha riconosciuto completamente la Palestina come stato indipendente, spero che altri stati prendano esempio dalla Santa Sede". Ha detto Abu Mazen dopo l'incontro con  Papa Bergoglio.

Il colloquio privato è durato 23 minuti e si è svolto alla presenza alla presenza dell'interprete. "E' un piacere riceverla", ha detto papa Bergoglio al suo ospite sulla soglia della biblioteca; "anche io sono contento di essere qui", ha replicato il presidente. Al momento della presentazione del seguito, un giovane palestinese ha offerto al Papa una maglietta di calcio con i colori della Palestina, quindi ha detto qualcosa sul San Lorenzo, la squadra argentina per cui tifa il Papa, che si è messo a ridere. Il giovane ha anche spiegato che sua moglie è argentina. Abu Mazen ha donato al Pontefice una pietra proveniente dal Golgota, una icona raffigurante il volto di Gesù, una icona raffigurante la Sacra famiglia, un documentario sulla ristrutturazione della basilica della Natività e un libro sulle relazioni tra Santa Sede e Palestina. Il Papa ha ricambiato con la medaglia dell'anno giubilare, e copie in arabo della "Amoris laetitia" e della "Laudato sii".

BLOCCATI ALLE FRONTIERE I MIGRANTI MUOIONO NEL GELO DEI BALCANI.

Con la drastica discesa delle temperature anche la chiusura della rotta balcanica, in vigore dalla scorsa primavera, mostra senza veli il volto della sua nefasta malvagità. Bloccati in Serbia, costretti a marce forzate, se non a deportazioni, i migranti cadono nella neve: congelati, morti di freddo e di gelo.
Sono migliaia. Intere famiglie, giovani soli o minori non accompagnati. Molti non hanno nemmeno abiti adatti al clima invernale. 7.000 profughi circa in Serbia secondo l’Unhcr, ma secondo  stime delle organizzazioni locali circa 10.000, di cui 6.000 ospitati nelle strutture ufficiali e solo 3.140 adatti all’inverno; il resto dorme fuori in edifici abbandonnati di Belgrado o sui confini, alcuni persino nei boschi, a meno 20 di notte, e 30 cm di neve. I casi di ipotermia si sono drammaticamente moltiplicati, sette a Belgrado trattati da MSF e Médecins du Monde a Belgrade, nelle sole ultime 24 ore, e quattro morti per assideramento nella sola prima settimana di gennaio sui confini bulgaro-turco e greco-macedone.
Il 6 gennaio, i cadaveri di due giovani iracheni di 28 e 35 anni, sono stati ritrovati dagli abitanti del paese di Izvor nella regione di Burgas, vicino al monte Strandzha. Morti per assideramento, in una zona nota ai migranti illegali perché  sprovvista di recinti. Solo quattro giorni prima, il 2 gennaio 2017, era stato trovato il corpo di una donna somala, morta congelata vicino al paese di Ravadinovo. Stremata, secondo il racconto dei 31 compagni di viaggio afghani, pakistani, era stata abandonnata, perché troppo debole per proseguire. Prima vittima della Frontiera 2017 dei Balcani.
Due adolescenti dello stesso gruppo di età 14 e16 anni, sono stati portati in ospedale per un inizio di congelamento degli arti inferiori. Gente con provenienze, storie e sogni diversi, ma vittime della stessa morte: freddo, fame, disperazione. Testimoni passati nella regione sud-est della Bulgaria, vicino al confine turco, raccontano di  cadaveri stesi nelle foreste.

Dal 6 ottobre scorso, il confine bulgaro-turco è pattugliato dalla nuova agenzia di controllo della frontiera Schengen, mentre Bruxelles ha già stanziato 108 milioni di euro a Sofia per costruire nuove barriere anti-migranti, oltre a quella già realizzata alla frontiera con la Turchia. In programma anche l’acquisto di 50 veicoli per la sorveglianza dei confini. I coordinatori dell’ong Bordermonitoring Bulgaria- che monitora i diritti dei rifugiati nel paese -  spiegano che le guardie europee non sono capaci e nemmeno  attrezzate per impedire o prevenire quelle morti.

Andrea Contenta, esperto di affari umanitari di Médecins Sans Frontières, afferma che la situazione “ è molto più grave di quanto sembra. Il congelamento fa sì che il sangue non raggiunga le estremità del corpo, addormenta i nervi e nei casi più gravi può essere trattato solo con l’amputazione perché i tessuti muoiono. Sono certo che il numero di casi aumenterà significativamente entro la fine della settimana”. E aggiunge “l’inverno è un fenomeno naturale che non possiamo controllare. Il vero problema è la mancanza di volontà politica per cercare di soddisfare le esigenze immediate di queste persone vulnerabili. È un fallimento dell’Unione Europea, che ha chiuso gli occhi davanti al fatto lampante che le proprie politiche mal pianificate non hanno fermato il flusso di persone, ma non hanno nemmeno predisposto alternative legali per permettere loro di viaggiare in modo sicuro”.

Un po' come essere tornati alla seconda guerra mondiale, immersi nella tragica fatalità delle marce forzate nel gelo, di morte per sfinimento e freddo. Una silenziosa eliminazione. Il 3 gennaio scorso, su un altro confine a Nord della Grecia, nella cittadina frontaliera di Didymoteicho, un ventenne afghano è deceduto dopo aver attraversato il fiume Evros. Le autorità vicino al confine turco, hanno tra l’altro segnalato un aumento di migranti che tentano la traversata nella regione dell’Evros, la falla nella rotta balcanica

Nel dicembre scorso un giovane iracheno era stato costretto dai trafficanti ad abandonnare la propria sorella mentre passavano il confine bulgaro, perché stremata stentava a camminare. È stata ritrovata, ma ormai senza vita. Così come un diciottenne afghano  ritrovato morto dal lato bulgaro, nel villagio di Kosovo, a un kilometro dal confine serbo. La provincia è  quella di Vidin, già teatro di simili incidenti.  Nell’inverno 2014, quattro rifugiati erano morti di gelo nei pressi di Kireevo e a settembre 2016, cinque profughi, tra cui 4 bimbi, sono annegati nel Danubio.

Anche le deportazioni illegali, in aumento da mesi sulla rotta balcanica, come denuncia Unhcr, possono avere conseguenze mortali. Due donne curdo-siriane e un bimbo di due anni sono stati salvati dall'ipotermia. È accaduto il 17 dicembre scorso, nel corso di una deportazione illegale da Belgrado, sul confine bulgaro, grazie ai soccorsi inviati da un’attivista di Info-Park (un associazione locale che offre assistenza ai rifugiati nel cuore di Belgrado). Al gruppo dei  richiedenti asilo -7 persone- era stato assegnato un posto nel campo di accoglienza di Bosiljgrad, a centro-sud della Serbia. Il bus delle "joint forces  che li trasferiva, li ha abbandonnati sui monti del confine serbo-bulgaro,  a temperature di 11 gradi sotto zero. Quanti altri casi come questi e quanti profughi sono morti negli ultimi anni sui confini europei dei balcani non si saprà probabilmente mai. Restano solo i rapporti dell’Unhcr, di ong locali, o delle polizie di frontiere a raccontarci l’orrore  vissuto dai migranti intrappolati, in transito o respinti dal filo spinato di confini invalicabili. Gelo e indifferenza. L' EUROPA 2017 detta l'agenda della propria storia.

mercoledì 11 gennaio 2017

SIRIA. 20 CIVILI VITTIME DI BOMBARDAMENTI. NUOVE ACCUSE DELLA RUSSIA AGLI USA


20 cittadini siriani sarebbero morti sotto il bombardamento del B-52 americano che ha attaccato le basi di Al-Qaeda nel centro abitato di Sarmad, a Idlib, nel Nord della Siria. Il raid dell'aviazione americana sarebbe avvenuto senza l' obbligatoria, necessaria comunicazione ai Russi che, contemporaneamente, stavano appoggiando via cielo l’offensiva turca contro l’Isis nel distretto di al-Bab  (Governatorato di Aleppo) a poco più di cento chilometri di distanza. Sono le ultime accuse mosse da Mosca contro gli Usa.
L'attacco  sarebbe avvenuto il 3 gennaio scorso. Il capo di Stato maggiore russo, il generale Valeri Gherasimov, afferma che il “B-52 Stratofortress” (un bombardiere strategico a lungo raggio prodotto dall’azienda statunitense Boeing) avrebbe bombardato “il centro abitato di Sarmada, nella provincia di Idlib, situata nella zona in cui è in vigore la tregua". Nell’attacco – sostiene il generale russo – "oltre 20 civili sono stati uccisi”.

Gerasimov attacca duramente la coalizione occidentale in Siria per non essere riuscita a raggiungere “risultati significativi“, aggiungendo che “allo stesso tempo, sono stati segnalati un numero significativo di vittime tra la popolazione civile”.
Il generale russo rinfaccia alle forze Usa il vuoto strategico che sarebbe apparso evidente anche nel corso di un'altra azione, quella del settembre dello scorso anno, quando l’aviazione statunitense prese di mira le forze governative a Deir-el-Zor. "Proprio dopo questo attacco lo Stato islamico ha iniziato la sua avanzata”, ha dichiarato Gerasimov all’agenzia russa Ria Novosti.

La carneficina nella città di Sarmada, conclude Gerasimov, è solo “l’ultimo esempio” della linea di condotta statunitense in terra siriana.
Il prossimo 23 gennaio ad Astana, in Kazakistan, si svolgerà il vertice fra Russia, Turchia ed Iran. L'incontro avverrà a pochi giorni di distanza dall’insediamento alla Casa Bianca di Trump.   E gli Usa, è noto, non sono stati invitati al summit, che pure rappresenta in questo momento l'azione più  importante per l’immediato futuro della Siria. Soprattutto, del suo Presidente, Bashar al-Assad, appoggiato dal Cremlino ma, almeno sotto l’amministrazione Obama, fortemente osteggiato dalla coalizione occidentale. Le decisioni di Trump potrebbero, in ogni caso, ribaltare la situazione.
D.Bart.

martedì 10 gennaio 2017

Iraq: liberato un quartiere cristiano di Mosul - Dove le case erano segnate con la lettera "Nur"

L'esercito regolare iracheno ha ripreso il controllo di Al Sukkar, il quartiere orientale di Mosul, dove alcune delle 700 case appartenenti a proprietari cristiane erano state occupate da stranieri dello Stato Islamico (Daesh). I miliziani dell'Isis si erano stabiliti a Mosul dopo che la città era diventata la principale roccaforte in terra irachena dell' auto-procalamato Califfato.
L'ospedale pediatrico è stato danneggiato, molti edifici appartenenti ai cristiani sono stati distrutti e difficile si presenta il rientro dei profughi.


Le case del quartiere segnate con la lettera araba “Nun”, iniziale della parola Nasara, che significa cristiano, erano state espropriate per essere messe a disposizione dei sostenitori del Daesh.

I cristiani le avevano abbandonate il 9 giugno 2014, quando Mosul era caduta nelle mani dei jihadisti. Le notizie che ci arrivano da Mosul richiamano certo la nostra attenzione” - ha detto all’agenzia Fides padre Thabit Mekko, sacerdote caldeo della città nord-irachena, attualmente sfollato a Erbil insieme ai suoi fedeli - “ma la situazione è ancora pericolosa, ci sono cecchini nelle strade ed è prematuro pensare a un rientro dei cristiani fuggiti dalle loro case.
Una tale ipotesi sarà presa in considerazione solo quando la sicurezza sarà totale". Pare che molte delle famiglie fuggite da Mosul con l'avanzata del Daesh non abbiano alcuna intenzione di tornare.


domenica 8 gennaio 2017

Dall'ambiente alla sanità all'Iran: le politiche di Obama nelle mani (distruttive) di Trump


Ora che Donald Trump sta per entrare nel pieno dei suoi poteri di presidente degli Stati Uniti d'America, da dove comincerà a demolire ciò che ha costruito Barack Obama durante gli otto anni del doppio mandato? Se il tycoon  manterrà le minaccie diffuse durante l'attesa del potere è possibile che almeno cinque provvedimenti della precedente ammistrazione vengano pesantemente attaccati.

1 - AMBIENTE
"Un rinvio non è piú possibile" aveva detto Obama promettendo di ridurre le emissioni di carbonio del 80% entro il 2050 e di investire 150 miliardi di dollari in tecnologie di risparmio energetico.
Dalle promesse ai fatti, è riuscito a convincere la Cina ad aderire all'accordo di Parigi sul clima: il primo patto globale che impegna  200 Paesi nella riduzione delle emissioni.

IL PROGETTI DI TRUMP. 
Il nuovo presidente in carica  ha promesso di rinnegare l'accordo di Parigi liquidando la questione del cambiamento climatico come una bufala cinese-architettata.
Dovrà però vedersela con un' industria energetica-verde che da lavoro ormai a migliaia di persone. Un colosso duro da demolire, e difficilmente reversibile.

2 - MATRIMONIO OMOSESSUALE.
Benché nel novembre 2008 Obama avesse dichiarato: "Credo che il matrimonio sia quello tra un uomo e una donna. Non sono a favore del matrimonio gay", una volta affrontata umanamente e laicamente la questione  divenne il primo presidente in carica ad approvare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Nel 2015 la Corte Suprema lo ha riconosciuto come un diritto costituzionale.

UN EVOLUTO TRUMP,  che si è proclamato sostenitore dei diritti degli omosessuali, fa sì che almeno questa volontà della precedente amministrazione possa resistere alle pressioni dei  repubblicani e alla legislazione del Congresso che permetterebbe ai datori di lavoro e titolari di aziende la più sfacciata discriminazione.

3 - ASSISTENZA SANITARIA.
Obama mirava davvero troppo in alto quando progettava per l'America il sistema sanitario-universale. Un modello ormai impossibile, persino per quell''Europa generosa, fautrice dello StatoSociale oggi così brutalmente imbrattato dai ticket.
Il presidente uscente è comunque riuscito a realizzare l'Affordable Care Act, il primo social rete di sicurezza, che ha fornito l'assicurazione sanitaria a 22 milioni di persone. Il sistema non è perfetto, ma l'umanità del tentativo merita rispetto.

IMPERATIVO CATEGARICO DI TRUMP 
Abrogare e sostituire immediatamente  L'Obamacare, anche se resta poco chiaro con quale provvedimento rimpiazzarlo. Alcuni elementi potrebbero restare in vigore, ma l'allarme lanciato dai  Democratici è chiaro: un improvviso cambiamento potrebbe produrre il caos e lasciare 30 milioni di persone senza copertura sanitaria

4 - LA MINACCIA IRANIANA.
Obama si è battuto per impedire all'Iran di possedere un'arma nucleare. La sua realizzazione avrebbe rappresentato una minaccia costante per Medio Oriente e la sicurezza globale.
Nonostante l'opposizione di Israele, gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo internazionale che impedisce all'Iran di proseguire i lavori trasferendo all'estero le scorte di uranio a basso arricchimento.

"ORRIBILE AFFARE IRAN".
Così Trump definisce il risultato raggiunto da Obama, mentre medita di farlo a pezzi. Ma il repubblicano Bob Corker, della commissione Esteri del Senato, è di tutt'altro avviso. Più che favorevole all'accordo, non solo cercherà di non farlo abrogare, ma lavorerà affinché  le norme su cui regge siano severamente applicate

5 - LAVORO
Obama ha dovuto risparmiare all'America lo spettro di una nuova grande depressione. Si è ingegnato a suo modo per arrestare l'aumento della disoccupazione.
Il risultato ottenuto è quello della stabilizzazione e del  recupero. L'amministrazione uscente afferma di aver aumentato posti di lavoro per un periodo di 75 mesi consecutivi, facendo scendere la disoccupazione al 4,7%. Resta il fatto che il numero delle persone attivamente impegnate, o alla ricerca di un lavoro, non era stato così basso dal 1970.

LA RIVOLUZIONE FISCALE DI TRUMP.
Maxi-sgravi fiscali per le aziende, rottamazione dei vecchi trattati di libero scambio, smantellamento  delle regole varate da Obama per ridurre la speculazione finanziaria. È l'America dei ricchi, bellezza!

D. Bart.

domenica 1 gennaio 2017

Attentato a Istanbul: uomo entra in un locale e uccide 39 persone


Un uomo travestito da Babbo Natale ha fatto irruzione in un night club del quartiere europeo della capitale turca sparando alla cieca contro le persone che stavano festeggiando il capodanno.
 Nel suo ultimo bilancio il ministero dell'Interno turco ha parlato di 39 morti tra i quali 15 stranieri. Il ministro Suleyman Soylu non ha specificato specificato la nazionalità delle vittime straniere ma ha chiarito che per ora 69 persone sono state ricoverate in ospedale.

ATTACCO NEL CUORE DELLA MOVIDA. L'attacco è avvenuto verso l'1:30 ora locale, le 23:30 in Italia. Il night preso di mira è il 'Reina', un rinomato ritrovo sulle rive del Bosforo nel cuore nel quartiere di Ortakoy nel distretto di Besiktas, la zona europea di Istanbul.

500 LE PERSONE CHE AFFOLLAVANO IL LOCALE.

Al momento dell'attacco nel night ci sarebbero state tra le 500 e le 600 persone. Secondo una prima ricostruzione l'assalitore avrebbe prima ucciso un poliziotto e una guardia giurata all'ingresso, per poi entrare nel locale e iniziare a sparare a raffica sulla folla. Nel tentativo di mettersi in salvo molti si sarebbero gettati nelle acque dello stretto.

UN ASSALITORE, FORSE TRE.
Le autorità turche divono che l'assalitore avrebbe agito da solo,  ma alcuni testimoni denunciano di aver visto almeno tre uomini. Il terrorista che ha aperto il fuoco sarebbe ancora in fuga e in tutto il Paese è scattata una forsennata caccia all'uomo. La polizia ha dispiegato centinaia di agenti e allestito decine di posti di blocco.

I TESTIMONI: «SPARAVA OVUNQUE».
Molti dei presenti scampati all'attacco sono convinti che ad agire siano stati più attentatori. «Questi pazzi sono entrati sparando ovunque, contro tutto» ha raccontato alla Cnn un testimone rimasto ferito ad una gamba da un proiettile. Un altra superstite ha raccontato: «Ero di spalle e mio marito mi ha urlato: 'Buttati giù!'. Eravamo vicino a una finestra e ho sentito che due o tre persone stavano sparando. Poi sono svenuta. Molte persone erano ancora a terra quando sono arrivate le forze speciali e ci hanno portato via».

«HA UCCISO LA GUARDIA ED È ENTRATO».
Parla di un solo uomo, invece, un altro testimone che si trovava fuori dal locale: «Ha preso di mira l'agente di sicurezza ed ha sparato. Sia l'uomo che una donna che passava di lì sono caduti a terra. Una volta entrato, non so cosa sia successo. Si udivano colpi di arma da fuoco e dopo due minuti, il suono di un'esplosione».

CORDOGLIO DI USA E NATO.

Cordoglio unanime è stato espresso da Stati Uniti e Nato. Washington ha offerto ad Ankara tutto il suo appoggio e il dipartimento di Stato ha espresso solidarietà «all'alleato turco». Il segretario generale dell'alleanza atlantica Jens Stoltenberg ha parlato di un «tragico attacco».
L' Alto rappresentante europeo per gli Affari esteri, l'italiana Federica Mogherini, ha sottolineato come si debba «lavorare per prevenire tali tragedie».

D.Bart.