giovedì 29 dicembre 2016

Confermato cessate il fuoco in Siria, negoziati ad Astana

Vladimir Putin ha annunciato  che il governo siriano di Bashar Assad e i rappresentanti dell’opposizione hanno firmato un accordo per un cessate il fuoco esteso a tutto il Paese - con l’esclusione delle zone in mano a terroristi come l’Isis - a partire dalla mezzanotte del 30 dicembre. Dell’intesa saranno garanti Mosca, Ankara e Teheran. L’avvio di negoziati di pace - previsti per metà gennaio in Kazakhstan - darà a Mosca, la possibilità di avviare il ritiro di una parte delle proprie forze in Siria.
Si confermano così gli impegni presi dalla “trojka”,  partita la settimana scorsa da Mosca con l’impegno di trovare una soluzione alla crisi siriana. Con Vladimir Putin determinato ad assumere il ruolo-guida dell’operazione. Il presidente russo ha trascorso la mattina al telefono con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e con il premier greco per iniziare a consolidare il sostegno ai negoziati di Astana.
Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, aveva già  dichiarato che l’intesa a cui stanno lavorando russi e turchi prevede che tutti i foreign fighters presenti lascino la Siria, comprese le milizie sciite libanesi di Hezbollah, impegnate contro i ribelli dell’opposizione. E questo è un primo ostacolo che difficilmente Teheran accetterà di superare.
«Siamo a un passo da un accordo con la Russia - ha detto Cavusoglu -. Se tutto va bene, lo faremo. Russia e Turchia saranno garanti dell’intesa definita ad Ankara. Non c’è nulla di sicuro sull’adesione dell’Iran come garante».
Un secondo probabile ostacolo nasce dal ruolo di Assad, del quale la Turchia ha sempre chiesto l’uscita di scena. La Dichiarazione di Mosca fa presupporre una graduale transizione, un futuro cambio della guardia a Damasco con un esponente del clan alawuita di Assad, meno controverso dell’attuale presidente. Un compromesso tra i tanti necessari che richiede in questo caso, da parte della Turchia, una flessibilità tutt'altro che scontata.

mercoledì 28 dicembre 2016

SIRIA. La guerra non è finita. Bombe da Assad contro ribelli e civili

Raffiche di mitra e bombe da Assad contro i ribelli e civili

Il villaggio siriano di Wadi Barada in mano ai ribelli, è stato attaccato con l'artiglieria pesante: Al Jazeera riferisce di almeno 14 civili uccisi negli attacchi; i 'Caschi Bianchi', (volontari di soccorso) denunciano che  molti altri sono tuttora intrappolati sotto le macerie.

Fonte youreporter

lunedì 26 dicembre 2016

La parabola vittoriana di George Michael



C’erano una volta i primi anni ottanta. Il Regno Unito era un paese allo stremo, schiacciato dalle privatizzazioni selvagge di Margaret Thatcher e dagli scioperi, ultima spiaggia di una classe operaia agonizzante.
Eppure in quegli anni grigi il pop inglese più disimpegnato, colorato e teen era in stato di grazia. Duran Duran, Spandau Ballet e Culture Club dominavano il mercato e influenzavano i gusti estetici, musicali e sessuali di una generazione. Gli Wham! tra il 1983 e il 1985 sono stati i migliori di tutti. I più sgargianti, i più sorridenti, i più pop. A cominciare dal nome che sembrava schizzato fuori da un dipinto di Roy Lichtentstein.
Gli Wham! erano essenzialmente George Michael, un giovane cantante di origine greca che sembrava nato già famoso. Un sorriso bianchissimo, un fisico atletico ed eternamente abbronzato, capelli baciati da méches che lo facevano sembrare appena tornato da una giornata in barca. I video degli Wham! di quegli anni erano un’eterna vacanza, l’incarnazione dell’edonismo disperato degli anni ottanta, spesso in precario equilibrio tra soft porno gay e Il tempo delle mele.
Wham! Rap, Wake me up (before you go-go), Last Christmas, Everything she wants, Club Tropicana erano trappole pop perfette. Ma il vero capolavoro degli Wham! è stato il modo in cui sono usciti di scena. Dopo soli quattro anni di carriera stellare e una tournée in Cina, il duo si è sciolto nel 1986.
È stato uno psicodramma pop perfettamente orchestrato: ragazzine in lacrime che minacciavano il suicidio, tonnellate di lettere, quintali di peluche, appelli, scioperi della fame. Dopo gli Wham! qualunque altra boyband ha avuto il dovere di mettere in scena il rituale mediatico dello scioglimento.
George Michael aveva già avuto un grande successo solista con la ballata Careless whisper del 1984, che, sebbene fosse stata scritta insieme a Andrew Ridgeley, l’altra metà degli Wham!, uscì come un singolo di George. Nel 1986, poco prima dell’annuncio dello scioglimento, era anche uscita la malinconica ballata A different corner.
Le lacrime dei fan hanno fatto in tempo ad asciugarsi con la velocità con cui si asciugavano i pennarelli Uni Posca sui loro diari: all’inizio del 1987 la carriera solista di George Michael cominciò con un botto: un duetto con Aretha Franklin. I knew you were waiting lo proiettò in una dimensione diversa: un rhythm n blues sempre molto pop ma più sofisticato e adulto. E la presenza di Aretha era praticamente una bolla papale.
Il pubblico ha cominciato ad accorgersi che George Michael era anche un grande cantante e non solo una grande popstar. L’album Faith uscì nel 1987 ed era una di quelle rare buste a sorpresa in cui ogni ogni regalino non deludeva. I want your sex era il primo singolo in cui un video dall’erotismo sfumato e un po’ kitsch si accompagnava a un testo pruriginoso, che però inneggiava alla monogamia. Un modo forse un po’ discutibile di affrontare, senza mai esplicitarlo, il tema dell’aids. Con I want your sex George Michael ha proiettato ancora, con scarsa convinzione, un’immagine eterosessuale.
Tra gli anni ottanta e novanta George Michael ha attraversato tutte le fasi dell’elaborazione interiore dell’omosessualità maschile: la negazione e il nascondersi prima, un traumatico coming out pubblico e l’orgogliosa presa di coscienza poi. Oltre alla sua musica George ci ha lasciato anche la sua esperienza: è stata l’unica celebrità a vivere e raccontare con estrema onestà queste fasi, anche nelle loro parti più private e dolorose.
Quando nel 1998 fu arrestato per oltraggio al pudore in un bagno pubblico di Los Angleles dopo essere stato adescato da un poliziotto in borghese, George capì che il coming out era l’unica via da fuga da una condanna a vita inflitta da tabloid assetati di scandali gay. Un coming out che è diventato spettacolo pop nel video per il singolo Outside.
La canzone è un disco funk muscolare e sudato che sembra uscito da una discoteca gay della fine degli anni settanta. E il testo è stupendamente ironico: “Sono stufo del divano, del letto e anche del tavolo della cucina… facciamolo fuori, all’aria aperta”. Giocando sul doppio senso di “outside” come “en plein air” e come fuori dal proverbiale “closet”, l’armadio dentro cui i gay possono arrivare a nascondersi per una vita intera. Alla fine di un video che gioca con immagini di esibizionismo, pornografia anni settanta e videosorveglianza, due poliziotti che credono di non essere spiati si baciano appassionatamente.
Le lenzuola di raso, le giarrettiere e la caricatura di eterosessualità di I want your sex sembrano un ricordo lontano. Con Outside George Michael riprese in mano la sua carriera, la sua musica e la sua sessualità. I tabloid inglesi però non hanno mollato l’osso: il suo successo intermittente e le sue abitudini sessuali (fu beccato a rimorchiare in un gabinetto pubblico una seconda volta a Londra) erano materie troppo appetitose. Più passava il tempo e più George Michael continuava a essere dipinto come una ex popstar in decadenza, divorato da vizi, alcol e droga.
Lui, dal canto suo, poteva rispondere solo in due modi, con la musica e con interviste oneste al punto dell’autolesionismo. Il Guardian ha ricostruito i retroscena di due memorabili interviste che George Michael aveva rilasciato a Simon Hattenstone.
È raro sentir parlare una celebrità di quel livello con una tale lucidità e una tale libertà di se stesso. Il sesso promiscuo? Gli piace, gli è sempre piaciuto e gli continuerà a piacere. È un problema per qualcuno? Le droghe? George ne parla apertamente. Il suo ufficio stampa era disperato ma alla fine George Michael ne uscì a testa alta.
Tra i tweet che lo hanno ricordato nel giorno della sua scomparsa il più condivisibile è stato quello dello scrittore inglese Hari Kunzru: “Possiamo smettere di ricordare che era ‘apertamente gay’ e che era ‘turbato’? Se era turbato lo era solo per colpa di tabloid omofobi e pruriginosi”.
C’è qualcosa di vittoriano nell’umiliazione mediatica che ha subito George Michael ed è importante ricordare che anche in tempi molto vicini a noi c’è stata un’opinione pubblica bigotta e crudele pronta allo sberleffo e alla lapidazione pubblica di un uomo per le sue abitudini sessuali. E questa opinione pubblica esiste ancora. Anzi, la sua voce rischia di diventare sempre più forte. È doppiamente importante quindi ricordare oggi George Michael per la sua musica, per la sua voce e per il suo coraggio.


I.it

venerdì 23 dicembre 2016

ALEPPO. CHIESE E MOSCHE FESTEGGIANO LA LIBERAZIONE

ALEPPO LIBERA

L’attentatore di Berlino Anis Amri ucciso dalla polizia a Milano

Anis Amri è morto durante un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine italiane in piazza I Maggio a Sesto San Giovanni. La polizia lo aveva fermato per un controllo stradale verso le 3 di notte.

Il governo italiano conferma che Anis Amri è morto.
La conferenza stampa di Marco Minniti

Chi era Anis Amri

Anis Amri aveva 24 anni ed era nato in Tunisia. La sua carta d’identità e le sue impronte digitali erano state trovate dentro il camion usato per colpire il mercatino natalizio di Berlino. La polizia aveva diffuso il suo identikit e lo riteneva il responsabile della strage.
L’uomo negli ultimi mesi avrebbe assunto sei identità differenti. Da gennaio era sotto osservazione da parte delle autorità perché potenzialmente capace di “gravi atti di violenza contro lo stato”. Anche le sue comunicazioni erano sotto controllo.
Nel 2011, secondo fonti investigative italiane, Anis Amri ha scontato quattro anni di carcere nel carcere Ucciardone di Palermo per aver appiccato un incendio in una scuola. Dopo aver scontato la condanna avrebbe dovuto essere espulso, ma la Tunisia non ha collaborato fornendo il riconoscimento ufficiale, e ad Anis Amri è stato semplicemente intimato di lasciare l’Italia.

Anis Amri sarebbe arrivato in Germania nel giugno 2015, soggiornando prima nella Renania Settentrionale-Vestfalia e in seguito a Berlino. Anis Amri, secondo i giornali tedeschi, figurava in una lista delle 550 persone considerate pericolose dalle forze dell’ordine ed era sospettato di preparare un attentato. Citando una fonte vicina all’inchiesta, la Süddeutsche Zeitung ha scritto: “Ci sono molte persone pericolose nel paese, ma di pericolose come lui ce ne sono pochissime”.
A giugno Anis Amri aveva fatto richiesta d’asilo in Germania, ma la richiesta era stata respinta perché non aveva i documenti necessari. Amri, secondo la stampa tedesca, ha legami con Ahmad Abdelaziz A., noto come Abu Walaa, un predicatore arrestato a novembre per aver incitato i suoi seguaci ad andare in Siria per combattere a fianco del gruppo Stato islamico.

Cosa sappiamo della morte di Anis Amri

Il ministro dell’interno italiano ha confermato che Anis Amri, ritenuto il responsabile dell’attentato del 19 dicembre a Berlino, è morto durante un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine italiane a Sesto San Giovanni, un comune alle porte di Milano.

Ecco cos’ha detto in sintesi:
Marco Minniti ha dichiarato che la persona morta a Sesto San Giovanni era “senza alcun dubbio” Anis Amri.
La sparatoria è avvenuta in piazza I Maggio, a Sesto San Giovanni, verso le 3 di notte. Amri era stato fermato per un controllo stradale. L’uomo, che era a piedi, alla richiesta di mostrare i documenti ha tirato fuori una pistola dallo zaino e ha sparato a un agente, Christian Movio, ferendolo. A quel punto i poliziotti hanno risposto al fuoco, uccidendolo. Anis Amri con sé non aveva documenti.
Il poliziotto colpito alla spalla è stato portato in ospedale: le sue condizioni non sono gravi.
Dagli accertamenti della Digos, coordinati dal capo dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili si è scoperto che Anis Amri, è arrivato in Italia dalla Francia, in particolare da Chambery, da dove aveva raggiunto Torino. Dal capoluogo piemontese ha preso un treno per Milano dove è arrivato attorno all’una di notte. Infine dalla stazione centrale si è spostato a Sesto San Giovanni, dove ha incrociato i due agenti della volante.

Fonte Internazionale.it

mercoledì 14 dicembre 2016

SIRIA - ALEPPO-EST: FORZE ASSAD UCCIDONO DONNE E BAMBINI

"82 civili, tra cui 11 donne e 13 bambini sono uccisi dalle forze pro-governative in quattro diversi quartieri"....
Inizia cosi, drammaticamente dirompente la dichiarazione che il portavoce dell'Alto comissariato Onu per i diritti umani, Rupert Colville ha rilaciato alla Bbc online.
Le forze lealiste del presidente siriano Bashar al-Assad avrebbero ucciso decine di civili nei quartieri est di Aleppo, tra cui donne e bambini, entrando nelle loro case. I rapporti consegnati alla sede Onu di Ginevra parlano anche "di numerosi corpi che giaciono per le strade". Colville ha precisato:" Speriamo, profondamente, che queste segnalazioni siano errate o esagerate, in quanto la situazione è estremamente fluida ed è molto difficile verificare le segnalazioni.
Che, tuttavia, sono corroborate da fonti affidabili".
La ferocia delle forze di Assad si sarebbe scatenata nei quartiere di al-Kallaseh e Bustan al-Qasr.
Alcuni civili sarebbero riusciti a fuggire, altri sarebbero "stati catturati e uccisi sul posto" ed altri ancora arrestati. Numerose fonti confermano, inoltre, che le forze pro-governative entrano nelle abitazioni e uccidono chiunque vi si trovi, anche le donne e bambini.

Anche il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) lancia un allarme per la situazione. Per più di una settimana, il Cicr è stato in contatto con tutte le parti per trovare per prevenire ulteriori sofferenze, ma ogni sforzo è stato vano.  L'organizzazione umanitaria dichiara nel frattempo di voler restare a disposizione, insieme alla Mezzaluna Rossa siriana, come "intermediario umanitario neutrale e imparziale".

D.Bart.

lunedì 12 dicembre 2016

Aleppo e Mosul - Strategia e ferocia contro i tagliagole del Califfo

Ad Aleppo, città chiave per i destini della Siria, i giochi sembrano ormai conclusi: la città è quasi completamente controllata dalle forze lealiste di Assad. Sostenuti dagli Hezbollah sciiti e dall’aviazione russa, i soldati siriani nei mesi scorsi hanno circondato le milizie dei ribelli islamisti, tagliando loro ogni rifornimento, per poi sgretolarne la resistenza.

A Mosul, ossia la preda più importante caduta fra le braccia dei tagliagole del califfo al-Baghdadi due anni fa, il governo iracheno sta cercando di ottenere la vittoria definitiva sul Daesh.

Aleppo e Mosul. Due città simbolo della ferocia della guerra civile in atto in Siria e Iraq e, allo stesso tempo, i due cardini strategici attorno a cui si combatte per plasmare il Medio Oriente futuro: perché vincere in queste città significa molto di più del loro mero possesso territoriale. Due centri urbani che vivono da settimane una storia parallela, sia pure con esiti diversi.

Ma le analogie fra le due città finiscono qua. I loro destini intrecciati sono frutto di strategie e di politiche diverse. A Mosul, le forze armate di Baghdad sembravano all’inizio aver optato per un attacco 'a ferro di cavallo', per circondare da tre lati la città, lasciando tuttavia aperto il corridoio occidentale, che la collega ai territori del Califfato in Siria, così da favorire una ritirata dei miliziani jihadisti, evitando una guerra strada per strada che avrebbe mietuto moltissime vite innocenti fra la popolazione.
Secondo alcuni osservatori il piano strategico sarebbe stato cambiato su pressione degli iraniani (ma anche di russi e curdi), desiderosi di intrappolare in una morsa i guerriglieri del Daesh al fine di annientarli completamente. Troppo alto il rischio che una loro ritirata si riverberasse negativamente sulla campagna militare dell’alleato Assad in Siria. E dato il ruolo delle milizie sciite controllate da Teheran e di quelle curde nel sostenere l’attacco a Mosul, Baghdad avrebbe dovuto mutare il suo progetto, impegnandosi in una dura battaglia strada per strada. I vertici delle forze armate irachene hanno ovviamente smentito ufficialmente questa ricostruzione, che li trasformava in esecutori delle decisioni iraniane, sottolineando come i propri soldati stiano attuando il piano previsto. Qualche dubbio, in realtà, permane. Ma il dato che maggiormente differenzia Aleppo da Mosul è il modo in cui i due governi guardano alle rispettive popolazioni.
Baghdad preferisce correre il rischio di un logoramento delle sue forze in una lunga battaglia nei vicoli di Mosul, piuttosto che colpire duramente dall’esterno i miliziani di Daesh, perché considera primario il contenimento delle vittime civili. E perché cerca – magari goffamente – di ricostruire la Mosul di prima del conflitto, ove convivevano comunità e gruppi religiosi diversi. Anche per questo non vuole far entrare le milizie sciite nel centro storico, temendo rappresaglie contro i sunniti rimasti. Al contrario, Assad non ha esitato a investire Aleppo con bombardamenti aerei e terrestri pesantissimi, schiacciando sì i ribelli, ma facendo strage di donne e bambini, distruggendo persino gli ospedali. Si parla già di centinaia di abitanti 'spariti', probabilmente nelle mani della famigerata polizia segreta del regime. Da una parte, una strategia che cerca di non infettare ulteriormente le ferite, per evitare di cadere nuovamente nella trappola della contrapposizione settaria, e con l’ambizione – speriamo non velleitaria – di ricostruire una convivenza fra comunità diverse negli stessi spazi. Dall’altra parte, la logica militare più crudele, che fa di città e abitanti solo dei punti sulla mappa da segnare come propri, 'sotto controllo'.
Ma che non offre alcuna prospettiva politica dopo la vittoria militare, nonostante l’estremismo islamista offra al regime, per quanto compromesso, la possibilità di apparire come un elemento tutto sommato meno pericoloso dei suoi oppositori. Ma Assad sembra non conoscere altra forma di controllo se non quella, illusoria e scivolosa, della forza bruta.

sabato 10 dicembre 2016

Washington Post: secondo un rapporto Cia la Russia ha favorito la vittoria di Trump.

Usa: "Individui legati a Mosca hanno dato mail hackerate a Wikileaks" ai danni del partito democratico e di altre organizzazioni, compreso il presidente della campagna di Hillary Clinton John Podesta. 

Trump respinge le accuse: "E' ora di guardare avanti" 

10 dicembre 2016.

In una valutazione segreta la Cia sostiene che Mosca è intervenuta nelle elezioni Usa per aiutare Donald Trump a vincere la presidenza: lo scrive il Washington Post  citando fonti definite informate. Gli 007 Usa hanno individuato attori legati al governo russo che hanno fornito a Wikileaks migliaia di email hackerate ai danni del partito democratico e di altre organizzazioni, compreso il presidente della campagna di Hillary Clinton John Podesta. Le fonti del Wp descrivono gli individui legati al governo russo come attori noti alla comunità dell'intelligence e facenti parte di una più vasta operazione per spingere Trump e minare le possibilità della sua rivale Hillary Clinton. "E' opinione della comunità di intelligence che l'obiettivo della Russia fosse favorire un candidato rispetto ad un altro, aiutare Trump ad essere eletto", ha confidato un alto dirigente Usa informato sulla presentazione dell'esito degli accertamenti fatta ad alcuni senatori americani. "Questa è l'opinione dominante", ha aggiunto. Ieri il presidente Barack Obama aveva disposto una verifica "completa" circa le presunte attività di hackeraggio e intrusioni legate alle elezioni presidenziali americane, chiedendo un rapporto esaustivo che vuole sul proprio tavolo prima di lasciare la Casa Bianca il prossimo 20 gennaio.
Ma Trump respinge le accuse: "E' ora di guardare avanti",dice. Anche il team di transizione di Donald Trump ha respinto le accuse contenute nel rapporto della Cia e rivelato dal Washington Post. Della Cia - si afferma in una nota del team - "fanno parte le stesse persone che dicevano che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa". "Le elezioni si sono concluse molto tempo fa - aggiunge la nota - ...è ora di guardare avanti e 'Rifare grande l'America'", conclude citando il motto della campagna elettorale". -

giovedì 8 dicembre 2016

mercoledì 7 dicembre 2016

ALEPPO : Forze Assad hanno conquistato l' 85% della parte orientale della città


I soldati dell'Esercito governativo siriano avanzano su Aleppo est: altri due i sobborghi conquistati stamani secondo l'agenzia ufficiale Sana. Per l'Osservatorio dei diritti umani, i lealisti controllano ora tutta la città vecchia. Russia Today stima che le forze di Damasco abbiano riconquistato l'85% di Aleppo est.

E' di 53 civili uccisi il bilancio dei bombardamenti aerei governativi e russi su Aleppo est nelle ultime 24 ore. Lo riferiscono fonti mediche della protezione civile dei quartieri sud-orientali di Aleppo. I raid più intensi si sono abbattuti nei quartieri prossimi alla città vecchia, teatro dell'avanzata lealiste delle ultime ore.

Le forze armate delle opposizioni siriane hanno avanzato nelle ultime ore una richiesta di tregua di cinque giorni ad Aleppo. Lo riferisce la tv panaraba al Jazira che cita fonti in quel che rimane dei quartieri orientali ancora controllati dai miliziani anti-governativi. La tregua, affermano le fonti, serve per consentire l'evacuazione dei civili più bisognosi di cure mediche e di aiuto. Secondo l'Onu nei quartieri orientali sotto assedio e presi nella morsa dell'offensiva lealista rimangono ancora più di 200mila civili. 

Circa 3.000 miliziani hanno deposto le armi a Khan al-Sheikh, vicino Damasco, ed è stato loro consentito di lasciare la città con le famiglie per dirigersi nella provincia di Idlib a bordo di 52 autobus: lo scrive l'agenzia di stampa ufficiale russa Tass. "Dopo lunghi e difficili negoziati - ha spiegato il colonnello russo Alexiei Leshchenko -, è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco con i miliziani". I miliziani avrebbero lasciato sul posto 500 armi da fuoco, fucili da cecchino, e decine di mortai.

Un colonnello delle forze armate russe, Ruslan Galitskiy, è morto per le ferite riportate "in un attacco di artiglieria dei miliziani della cosiddetta opposizione contro uno dei quartieri di Aleppo ovest": lo riferisce il ministero della Difesa di Mosca precisando che l'alto ufficiale è deceduto in ospedale e "i medici hanno lottato per la sua vita per alcuni giorni". Secondo il ministero della Difesa russo, Galitskiy faceva parte di un gruppo di consiglieri militari russi inviato in Siria..
  

Turchia: Amnesty, centinaia di migliaia di civili curdi sfollati

Istanbul - Le operazioni militari della Turchia contro il Pkk nel sud-est del Paese a maggioranza curda hanno provocato dall'estate 2015 "centinaia di migliaia di sfollati" civili, espropriando o distruggendo le loro case.

Lo denuncua Amnesty International, che ha pubblicato ieri un nuovo rapporto focalizzato sul distretto di Sur, centro storico della 'capitale' curda Diyarbakir, dove gli sfollati sono stimati in almeno 24 mila.

"Il processo in corso nella regione nel suo complesso suggerisce un piano premeditato per allontanare i residenti, distruggere e ricostruire le aree per garantire la sicurezza attraverso modifiche nell'infrastruttura e trasferimenti di popolazione", si legge nel rapporto. Le autorità di Ankara non hanno al momento risposto alle accuse dell'ong.

Fonte Ansamed

lunedì 5 dicembre 2016

NON HA VINTO LA COSTITUZIONE. HA VINTO L'ODIO CONTRO UN UOMO











No, non è la Costituzione ad uscire vincitrice da questo referendum. Né la democrazia, che si concretizza nel miscuglio di un calderone dove si girano, rigirano e crogiolano elettori in buona o cattiva fede, costituzionalisti incazzati per non aver potuto partecipare alla stesura della Riforma, giornalisti reazionari e stronzi-dentro, politici trombati o di parte.
Non ha vinto la Costituzione, ha vinto l'odio contro un uomo.
Un uomo arrogante, bugiardello, antipatico a tanti, ma che nella sua sfrontatezza ha cercato di sollevare questo Paese dall'immobilismo.
Quante volte in questi ultimi 30anni si è invocata - da destra a sinistra, passando per il centro- una profonda riforma della nostra Carta ormai in vigore dal 1° gennaio 1948?
E' da allora che ci portiamo avanti il sistema del bicameralismo perfetto. Ovvero una deliziosa, giocosa "navetta parlamentare" per cui una legge, per poter essere approvata, deve essere votata - nello stesso testo- sia alla Camera che al Senato. Se una della due aule propone modifiche scattano i noti, lunghissimi procedimenti dal momento che ciascuna camera può modificare per un illimitato numero di volte la proposta di legge. Un bel sistema, davvero. Sul fatto che le regole dovessero essere cambiate tutti erano d'accordo. Ci si è provato con ben tre bicamerali.

-Prima Bicamerale, Commissione Bozzi 1983-1985.

-Seconda Bicamerale, Commissione De Mita Iotti 1992-94

-Terza Bicamerale, Commissione D'Alema 1997-1998

 Tutti tentativi iniziati con tante chiacchiere e terminati in poca sostanza.

La riforma di Berlusconi del 2006, approvata a maggioranza assoluta dal parlamento, fu respinta dai cittadini con oltre il 61% di voti contrari. Oggi tutti i berlusconiani che in massa hanno optato per un secco NO sostengono che fosse una proposta migliore di quella appena sconfitta.



Di fatto entrambe vogliono porre fine al bicameralismo paritario e trasformare il Senato in camera di rappresentanza degli enti locali. Nella riforma Berlusconi, però, tale camera avrebbe dovuto anche legiferare su temi in cui le regioni hanno competenze in concorrenza con lo Stato.
E' questa la differenza rispetto alla riforma Boschi. Che accanto alla sia pur severa, drastica riduzione dei poteri del Senato, introduce finalmente il PROCEDIMENTO IN TEMPI CERTI, regolando i tempi a disposizione delle aule.

Politicizzando la riforma avete finito per penalizzarne il contenuto. Peccato.

D.BART








giovedì 1 dicembre 2016

SIRIA. ALEPPO EST, LE TRUPPE DI ASSAD FRANTUMATO IL FRONTE JIHADISTA

La battaglia per la conquista della città siriana di Aleppo sembra essere a una svolta cruciale. Le truppe governative, con l'appoggio delle milizie sciite, hanno conquistato alcuni quartieri chiave controllati dalle unità dei ribelli nella zona est della città. Le forze del Presidente Bashar Assad sono riuscite a spezzare in due il fronte dell'opposizione, il che renderà decisamente più complessa la resistenza dei ribelli in futuro. Secondo gli analisti russi, le autorità siriane e i governi che sostengono il Paese (Russia e Iran) cercheranno di conseguire il massimo degli obiettivi prima del passaggio di consegne ai vertici dell'amministrazione degli Stati Uniti così da mettere il nuovo capo della Casa bianca, Donald Trump, di fronte a un fatto compiuto, e cioè che la battaglia di Aleppo è stata persa dalle forze dell'opposizione.

L'offensiva sulla città.

L'offensiva, lanciata dall'esercito lealista ad Aleppo est verso la metà di novembre, è stata sabato scorso notevolmente intensificata. Le forze di Bashar Assad sono riuscite a riconquistare il controllo degli importanti quartieri di Masaken Hanano e Jabal Badro. E il 28 novembre l'esercito lealista, con l'appoggio delle unità delle milizie sciite di Libano, Iraq e Iran, ha avuto la meglio, mettendo in fuga le forze dell'opposizione dai quartieri di al-Haidaria, Sheikh Khider e Hai Es Sahour. In questo modo l'esercito lealista ha frantumato in una zona nord e in una zona sud il territorio controllato dalle forze avversarie che verso il 28 novembre era già stato in larga parte "ripulito". "Attualmente è stato ristabilito il pieno controllo su 12 quartieri della città", ha fatto sapere il 28 novembre il Centro di coordinamento per la riconciliazione delle parti in conflitto in Siria. Secondo i dati in suo possesso, le forze lealiste avrebbero conquistato complessivamente il 40% del territorio di Aleppo est, mentre fonti occidentali parlano di "oltre il 30%". Come riferisce l'emittente televisiva inter-araba Al-mayadin, i nemici di Damasco hanno subito delle perdite e si ritirano dai quartieri di Aleppo sud, arrendendosi e lasciandosi prendere prigionieri.

TRUMP TRADISCE GLI ELETTORI. IL TESORO NELLE MANI DI UN BANCHIERE DI GOLDMAN SACHS.


In campagna elettorale Trump ha promesso diUMP «ripulire la palude» dalla melma degli interessi e dei poteri forti come quelli raccolti dalla fondazione di famiglia dei Clinton. La rabbia contro le élite era stata una delle chiavi per guadagnare consensi e distinguersi dal resto dei candidati repubblicani alle primarie. Ora Trump mette fine alle sue promesse elettorali scegliendo come Segretario del Tesoro l’ex banchiere di Goldman Sachs Steven Mnuchin, 53 anni di cui 17 spesi nella banca di investimenti.

E Mnuchin dichiara subito, senza smentirsi: "aboliremo parte della riforma di Wall Street"

Il segretario al tesoro Usa designato Steve Mnuchin quindi annuncia un affondo sulla riforma di Wall Street varata dall'amministrazione Obama come risposta alla crisi finanziaria del 2007-2008: "Vogliamo abolire tutte quelle regole della legge Dodd-Frank che ostacolano i prestiti delle banche soprattutto verso le piccole imprese", ha detto Mnuchin alla Cnbc. "Questa sarà la priorità numero uno sul fronte della regolamentazione", ha aggiunto. Non ci sara' "un taglio assoluto" delle tasse sui piu' ricchi" ha aggiunto Mnuchin, sottolineando come "ogni riduzione per i redditi piu' alti sara' bilanciata da minori deduzioni". Mnuchin ha quindi spiegato come la riforma fiscale andra' a vantaggio soprattutto della middle class, con grosse agevolazioni per le famiglie con figli.

D.Bart
  

martedì 22 novembre 2016

YEMEN. LE BOMBE CHE NON FANNO NOTIZIA

Nei giorni scorsi ho parlato dell'immane tragedia di Aleppo Est, tuttora sotto il controllo di ribelli e jihadisti,  e dove da mesi più acuto è lo scontro tra le forze leali a Bashar al-Assad e i miliziani. Qui i  bombardamenti colpiscono senza pietà anche gli ospedali mentre la denuncia di questi misfatti risuona puntualmente e giustamente in tutto il mondo, attraverso giornali e televisioni.

Poi c'è il massacro quotidiano e dimenticato, quello delle bombe assassine che non fanno notizia. C'è l' ignorato Yemen, martoriato dalla guerra condotta dalla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita con l’assistenza logistica e di intelligence degli Stati Uniti. In questo caso gli appelli, per quanto accorati, vengono costantemente ignorati e non hanno alcuna risonanza sull'informazione.

Ecco che cosa ha raccontato Djoen Besselink, capo della missione di Medici senza Frontiere nello Yemen: “Da maggio 2015 MSF ha curato più di 10.000 feriti di guerra solamente nella città di Taiz. A ottobre, gli ospedali supportati da MSF a Taiz hanno ricevuto circa 500 pazienti con ferite dovute alla violenza, di cui il 23% erano donne e bambini. Molti dei feriti… erano a casa, al mercato o in cammino verso i loro campi quando sono stati colpiti da incursioni aeree, bombardamenti e spari da arma da fuoco”. Il 17 novembre, primo di due giorni di cessate il fuoco, i Medici senza Frontiere hanno dovuto ricoverare 76 feriti e seppellire 21 morti nella sola città di Taiz. L'Occidente non ne ha avuto notizia.
Così come non ha saputo che l’Arabia Saudita ha violato 114 volte il cessate il fuoco di due soli giorni, che peraltro era stato richiesto dall’ex presidente dello Yemen, Habd Rabbuh Mansur Hadi, e gentilmente concesso da re Salman dell’Arabia Saudita.
Dall’inizio della campagna saudita (marzo 2015), quasi 12 mila civili yemeniti sono stati uccisi. Gli sfollati sono più di 3 milioni (su 27 milioni di abitanti), metà della popolazione vive di aiuti umanitari e solo 1 bambino su 10 arriva all’età di cinque anni.
Eppure nessuno piange per lo Yemen, dove ad ammazzare adulti non combattenti e bambini sono i nostri alleati e clienti, quelli ai quali Usa, Francia e in parte anche l’Italia forniscono le armi. È qui che l'interesse economico fissa il punto di non ritorno verso sentimenti di pietà e compassione.
D.Bart.
Fonte: Gli Occhi Della Guerra

sabato 19 novembre 2016

Aleppo Est: Attacchi multipli su civili e ospedali nelle ultime 48 ore


L’unico ospedale specializzato in pediatria ad Aleppo Est è stato colpito per la seconda volta dalla ripresa dei bombardamenti aerei sull’area. Questo nuovo attacco ha distrutto tre piani della struttura, che ora non può più lavorare. Altri tre ospedali sono stati attaccati direttamente, ci sono feriti tra staff e pazienti, e così due importanti ospedali chirurgici e il più grande ospedale generale non sono più in funzione.

“È una giornata nera per Aleppo Est. La gravità dei bombardamenti ha causato enormi danni sui pochi ospedali che lavorano giorno e notte per fornire assistenza medica” ha detto Teresa Sancristoval, coordinatore dell’emergenza per  Médecins Sans Frontières
“Gli attacchi hanno distrutto interi ospedali, generatori elettrici, pronto soccorso e reparti, costringendoli a interrompere tutte le attività mediche. Non è solo MSF a condannare gli attacchi indiscriminati contro i civili o le infrastrutture civili come gli ospedali, li condanna il diritto umanitario. Il messaggio è semplice e non so come dirlo più forte: smettete di bombardare gli ospedali.”

“L’ospedale dei bambini è stato danneggiato per la seconda volta a causa degli attacchi aerei” dice Luis Montial, vice capo missione di MSF per la Siria. “È l’unico ospedale completamente dedicato ai bambini nell’area assediata e ora è fuori uso. Le conseguenze dei bombardamenti indiscriminati sono molto chiare: più vite perse, servizi sanitari devastati e sofferenza insormontabile per le persone intrappolate dall’assedio. Quello che non è chiaro è quanto ancora il sistema sanitario, già in ginocchio, potrà continuare a funzionare se i bombardamenti non smetteranno e se le forniture mediche non potranno entrare nell’area.”

Gli ospedali di Aleppo Est sono stati colpiti dalle bombe in più di 30 diversi attacchi dall’inizio dell’assedio a luglio. Tutti gli ospedali dell’area sono supportati da MSF, tra le altre organizzazioni.

MSF supporta otto ospedali di Aleppo Est con forniture mediche dal 2014. MSF gestisce anche sei strutture mediche nel nord della Siria e supporta più di 150 ospedali e centri sanitari in tutto il paese, di cui molti in aree assediate. Nonostante i nostri sforzi, ci sono molte aree – tra cui Aleppo Ovest – in cui al momento siamo impossibilitati a lavorare, ma continuiamo a spingere per fornire aiuti medici e umanitari in queste aree.

Iraq: Mosul, si combatte contro la forte resistenza Isis

BAGHDAD, 19 NOV - Le truppe irachene continuano ad avanzare verso Mosul sul fronte orientale, ma stanno incontrando una forte resistenza da parte dei militanti dello Stato Islamico. Lo ha detto il generale Sami al Aridi dell'esercito di Baghdad. Le forze speciali irachene si trovano questa mattina nella zona di Muharabeen e Ulama dopo aver liberato completamente ieri l'adiacente sobborgo di Tahrir. L'Isis, ha detto il generale, sta utilizzando cecchini, rpg e colpi di mortaio contro le truppe irachene e sul posto sono visibili alte colonne di fumo. L'offensiva per riprendere il controllo di Mosul è stata lanciata il 17 ottobre. Il fronte orientale è particolarmente importante per tagliare ai miliziani dell'Isis la via di fuga verso Raqqa, in Siria, l'altra roccaforte dello Stato Islamico.

mercoledì 16 novembre 2016

SIRIA. PUTIN TORNA A COLPIRE LA GIÀ MARTORIATA ALEPPO

Da due giorni la Russia è tornata a colpire pesantemente sulla Siria. L’offensiva, che era attesa da settimane dopo una tregua umanitaria che aveva come fine permettere (l’improbabile) fuga dei ribelli assediati, ha avuto di nuovo Aleppo come bersaglio.

La situazione nella seconda città siriana è tuttora in stallo, con i ribelli che stanno cercando di rompere le linee di assedio e i governativi che senza il supporto russo non sembrano in grado di tenere. Gli attacchi sono arrivati dodici ore dopo della telefonata con cui il presidente russo Vladimir Putin ha contattato direttamente, per la prima volta, il vincitore delle presidenziali americane Donald Trump.

Stando alle dichiarazioni ufficiali dell’una e dell’altra parte, nella conversazione il leader russo si è innanzitutto congratulato per il risultato elettorale, ma poi sono stati affrontati anche temi più concreti che riguardano il futuro dei rapporti tra i due paesi, da stringere e migliorare, con particolare accento sulla volontà di combattere insieme il terrorismo internazionale.

Il messaggio è stato immediatamente recepito dal presidente siriano Bashar el Assad, che da ormai cinque anni sta usando il velo della lotta al terrorismo per camuffare le proprie azioni repressive nei confronti dell’opposizione, senza discriminazione tra fazioni che interpretano posizioni radicali e quelle che hanno intenti nazionalisti e più moderati finalizzati al rovesciamento del regime (l’incallimento del conflitto ha in alcuni casi portato a sovrapposizioni tra le istanze).

Assad, intervistato dalla Tv statale portoghese RTP, ha detto: “Non possiamo dire niente su quello che ha intenzione di fare [Trump], ma se […] ha intenzione di combattere i terroristi, è ovvio che diventerà un alleato, alleato naturale come i russi, gli iraniani, e molti altri paesi”. Martedì il senatore John McCain, falco repubblicano e riferimento del partito al Congresso, s’è scagliato contro Trump e le sue aperture a Mosca (e alleati). Senza nominare mai direttamente Putin, in uno statement ha scritto: “Per lo meno, il prezzo di un altro ‘reset’ sarebbe la complicità con Putin e Assad della macelleria del popolo siriano. Questo è un prezzo inaccettabile per una grande nazione” e ancora, “l’America è stata grande fin quanto si è messa dalla parte di coloro che combattono la tirannia, ed è lì che dobbiamo stare di nuovo”.

Gli attacchi piovuti sulla Siria, soprattutto su Aleppo e Idlib, sono partiti dal gruppo da battaglia della “Admiral Kuzentsov”, portaerei per la prima volta entrata in operatività in questi giorni. Si ricorderà che il suo viaggio dai mari di Murmask era stato oggetto di una sorta di esercitazione attiva con cui le marine di diversi paesi europei (membri Nato) l’avevano tracciata e controllata fino alle acque del Mediterraneo orientale.

L’esordio non era stato dei migliori, con un Mig29-Kubr di quelli imbarcati precipitato in mare lo scorso fine settimana al rientro di un volo sul nord di Aleppo, ma poi le cose hanno preso una certa, tetra, regolarità. Protagonisti degli attacchi anche i missili da crociera Kalibr, lanciati dalla fregata “Admiral Grigorivic” che accompagna la portaerei.

Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha confermato l’impiego dei due nuovi dispositivi, mentre un portavoce del Pentagono, Jeff Davis, ha commentato: “Dal punto di vista militare puro, la Russia ha già funzionalità significative all’interno della Siria. Tutto ciò che portano dall’esterno, che si tratti di portaerei, o del lancio di missili da crociera dalle navi, o di airstrike a lungo raggio che volano dalla Russia, quelli sono fatti per lo show”.

La Russia indica che i bersagli colpiti sono ascrivibili allo Stato islamico e all’ex al Nusra, gruppo un tempo affiliato ad al Qaeda su cui rimangono i dubbi anche dopo la rottura con la Base, ma i report indipendenti parlano di obiettivi anche civili. Tre centri medici sarebbero stati colpiti nelle aree controllate dai ribelli: martedì è stato messo fuori uso l’ospedale di Awaijel, villaggio ad ovest di Aleppo, lì si erano trasferiti anche diversi pazienti dalla vicina Kafrnaha, dove l’ospedale era stato colpito il giorno prima. Secondo gli osservatori umanitari del conflitto, un missile ha centrato anche la città di Saraqeb, nella provincia di Idlib, e aerei da guerra russi hanno preso di mira altre città nell’area (Ariha, Ihsim, Khan Sheikhoun e Tal Nabi Ayoub).

16/11/2016

Fonte f.it

mercoledì 9 novembre 2016

Hillary: sconfitta da una politica estera sciagurata

Prima come politico e poi Segretario di Stato, la Clinton si è distinta per essersi sempre schierata dalla parte sbagliata dei conflitti, e per aver originato disordini in diverse parti del mondo. Il suo scriteriato tentativo di rovesciare Assad in Siria ha costretto milioni di siriani a fuggire dalle proprie case,  provocando la crisi migratoria di cui africani ed europei, italiani sopratutto, stanno pagando le conseguenze.
Il curriculum di Hillary include il supporto ai barbari “contras” contro il popolo del Nicaragua negli anni ’80, il supporto ai bombardamenti NATO nell’ex Jugoslavia, il supporto alla guerra in Iraq di Bush tuttora in corso, i disordini in Afghanistan, la distruzione – in quanto Segretario di Stato – dello stato centenario della Libia, il colpo di stato militare in Honduras e l’attuale tentativo di “cambiare regime” in Siria. Tutte queste situazioni hanno portato più estremismo, più caos e pericolo in giro per il mondo. I prossimi saranno i confini di Russia, Cina e Iran. Insomma, Trump è estremista;  Hillary pure.  Brindare e godete, se ancora possedete un bicchiere.
D.Bart

sabato 5 novembre 2016

Mosul - Violenta battaglia ad Aden. Isis arruola i bambini

MOSUL – Sì combatte furiosamente strada per strada, dalla periferia orientale a quella nord-orientale di Mosul, roccaforte irachena dell’Isis e stretta nella morsa di forze governative, combattenti curdi e milizie di varie affiliazioni. L'orrore si consuma mentre l’Onu denuncia pesanti violazioni umanitarie, sia da parte degli jihadisti,  sia da parte della coalizione anti-Isis a guida americana, che nel corso dei raid aerei ha ucciso molti civili.
Dall’ufficio dell’Onu per i diritti umani di Ginevra sono rimbalzate notizie dell'”uccisione di massa” di almeno 50 disertori dell’Isis. Le Nazioni Unite affermano anche che gli jihadisti hanno trasferito in maniera forzata centinaia di civili, tra cui moltissime donne, nella zona di Tellafar, a ovest di Mosul. Le donne, sarebbero per lo più curde e yazide, due comunità considerate bersaglio dei miliziani dell’Isis.
Si parla anche dell’arruolamento forzato di adolescenti e bambini, a partire dall’età di nove anni, che Isis costringe a combattere nelle battaglie in corso a Mosul. Sempre l’ufficio dell’Onu per i diritti umani denuncia l’uccisione di 21 civili, tra cui quattro donne, nei raid aerei della coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti. l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha aggiornato a oltre 22mila il numero degli sfollati in fuga da Mosul dall’inizio dell’offensiva, scattata il 17 ottobre scorso. Secondo l’organizzazione umanitaria Oxfam, moltissimi di questi sfollati, che si trovano nelle zone “liberate” a sud di Mosul, vivono in un “inferno pieno di fumo” a causa degli incendi appiccati dai miliziani dell’Isis in ritirata. Queste famiglie – prosegue Oxfam – hanno scarso accesso ad acqua pulita e a servizi medici. “Il fumo oscura il sole e rende grigie le facce dei bambini”.
Questa mattina, all’alba, è cominciata la seconda fase dell’offensiva per la riconquista della città: le forze governative hanno tentato di penetrare i sobborghi orientali,  combattendo strada per strada, nel sobborgo di Aden e in altri quartieri periferici. "La più violenta battaglia combattuta fino ad ora per le vie della cintura esterna della città" - raccontano voci dal campo.
I miliziani si sono ritirati da alcuni quartieri, lasciandosi dietro, però, cellule di combattenti pronti al suicidio e diverse autobombe per rallentare l’avanzata nemica. Di fronte a questa resistenza, le forze governative hanno cercato di aprire un secondo fronte, a nord-est di Mosul, puntando verso i quartieri di Tahrir e Zahra. Il generale iracheno Abdelwahhab Saadi, capo delle operazioni per le forze anti-terrorismo, ha detto che le milizie sciite lavorano assieme ai governativi per far sì che l’intera città di Mosul sia assediata da ogni lato. Ne dà notizia tv filo-iraniana Mayadin.
Ma come è già accaduto nei giorni scorsi a Kirkuk e nella regione di al-Anbar, l’Isis ha risposto attaccando dietro le linee nemiche: è avvenuto a Shirqat, 100 km a sud di Mosul, dove gli jihadisti hanno tentato un assalto a sorpresa alla cittadina sul Tigri. Dopo essersi rifugiati in una moschea, sono stati respinti dall’assalto delle forze locali: il bilancio è di 36 morti, tra cui 20 miliziani dell’Isis, sei agenti e dieci civili. " I corpi degli jihadisti uccisi sono stati appesi nelle strade", avrebbe dichiarato il sindaco di Shirqat, Ali Dodah.

D.Bart.

mercoledì 2 novembre 2016

Elezioni Usa: perché tanti latinos voteranno Donald Trump?

Il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti ha definito narcos e violentatori gli ispanici che vivono nel Paese. Tra questi, però, ci sono quasi tre milioni di persone che lo sostengono. Ne abbiamo intervistati alcuni. Le consultazioni sono in programma domenica 8 novembre.

Il Bronx è un angolo di America Latina a New York. Il 52% della popolazione del distretto, che non è più il posto malfamato descritto dai film di Hollywood, è di origine latinoamericana, gli avvisi nella metropolitana sono bilingue e i ristoranti vendono empanadas e tacos.

Antonio Meléndez, che il nome del Bronx ce l’ha cucito sulla felpa, vive qui da tutta la vita ed è figlio di una coppia di portoricani. Il suo spagnolo è un po’ arrugginito ma assicura di sentirsi “molto latino”, oltre che repubblicano. Il 19 aprile, quando Donald Trump ha vinto le primarie nello Stato di New York, è uscito a festeggiare. “L’economia va malissimo da queste parti e bisogna sistemarla, quando ero giovane non c’era tanta gente povera e senza casa. Credo che Trump potrebbe rappresentare un vero cambiamento in questo Paese”, spiega l’uomo, che afferma di apprezzare la fermezza del candidato repubblicano.

Donald Trump ha fatto breccia nei cuori di un elettorato deluso da decenni di politiche neoliberali, grazie ad una proposta protezionista che prevede ad esempio la rinegoziazione dei trattati di libero commercio come il NAFTA (North American Free Trade Agreement). Una politica che ha il sapore di una guerra commerciale contro il Messico, in cui molte imprese statunitensi hanno delocalizzato la loro produzione.

Antonio Meléndez non è l’unico ispano-statunitense che simpatizza per Trump. Secondo un sondaggio pubblicato a febbraio da The Washington Post e Univision Noticias, il 16% dei 27,3 milioni di elettori statunitensi che si riconoscono come latini ha una buona opinione di Trump, mentre un’indagine più recente di Los Angeles Times e Latino Decisions indica che sono il 10%. Non è una percentuale molto alta, ma significa comunque che almeno 2,7 milioni di persone forse voteranno l’8 novembre per un uomo che li ha definiti “narcotrafficanti e violentatori”.

Quando ha ascoltato quelle parole, come il 74% dei votanti latini, Antonio Meléndez si è sentito offeso. Degli Stati Uniti, infatti, dice di amare proprio la capacità di accogliere i migranti. “Tutti devono avere la possibilità di essere cittadini statunitensi, tutti hanno il diritto di stare qui. Gli Stati Uniti sono un Paese libero in cui può venire qualsiasi persona”. Meléndez preferisce non esprimersi sulle dichiarazioni di Trump sulla necessità di deportare gli 11 milioni di migranti irregolari che si stima vivano negli Stati Uniti, e di costruire un “grande e bel muro” di 3mila chilometri sulla frontiera con il Messico, per impedire il loro passaggio. Meléndez considera le idee di Trump come intimidazioni “che non verranno mai messe in pratica”, al contrario del 57% dei messicani che, secondo un recente sondaggio dell’istituto Parametría, è convinto del contrario.

27,3 milioni: sono gli elettori statunitensi che si riconoscono come “latini”
Le dichiarazioni di Trump sui latini sono, in realtà, molto contraddittorie. Il candidato repubblicano ha affermato di amare il Messico e di avere molti amici messicani. Nel suo discorso di investitura, ha però reiterato la necessità di costruire un muro frontaliero e mettere fine alla migrazione illegale. Allo stesso tempo, il 5 maggio scorso, giorno di una festa nazionale messicana che viene celebrata più negli Stati Uniti che in Messico, il magnate ha pubblicato una foto in cui appariva sorridente davanti a un taco bowls, pietanza che in realtà non esiste in Messico. “Buon 5 maggio”, dice la didascalia della foto. “I migliori taco bowls si preparano nel ristorante della Trump Tower. Amo gli ispanici!”.

“È opportunismo politico, Donald Trump è sempre stato molto erratico nelle sue dichiarazioni”, afferma Laura Carlsen del Center of International Policy. Secondo l’analista politica una sua vittoria non sarebbe un pericolo solo per Stati Uniti e Messico, ma per il mondo intero. “Trump ha iniziato la campagna con dichiarazioni molto offensive, che hanno provocato una reazione forte nella società messicana e in quella statunitense. Immagino che in seguito i suoi collaboratori abbiano iniziato a dirgli che è impossibile vincere le elezioni presidenziali senza il voto dei messicani.

Myriam Witcher è nata a Bogotá, capitale della Colombia, ed è una donna d’affari. Si occupa di esportare caffè e fiori dal suo Paese, e da circa sedici anni ha messo radici negli Stati Uniti. Il 6 ottobre 2015, si è addormentata con la rivista People aperta sul petto. La copertina di quel numero mostrava una foto di Trump raggiante, in compagnia della moglie e del figlio. Quella notte, Myriam sognò di incontrarlo e dargli la mano.

Un paio di giorni dopo, la donna realizzò il suo sogno. Durante un meeting repubblicano a Las Vegas, Trump la vide tra il pubblico mentre sventolava con entusiasmo la sua copia di People, e la invitò a salire sul palco. “Sono ispanica e voto per il signor Trump. Signor Trump, ti amiamo!”, gridò Witcher euforica. “Quel giorno fu un giorno grande per me, non lo dimenticherò mai”, confessa oggi. La donna assicura che il suo show non era stato concordato con lo staff del candidato. Da allora, però, Witcher è diventata il simbolo dei latini che simpatizzano per Trump: è stata intervistata da numerose testate giornalistiche e ha recentemente pubblicato un libro in cui racconta il suo amore per il magnate.

La signora Witcher assicura che la lettura dei libri di Donald Trumap è stata fondamentale per la sua formazione professionale, e ricorda con orgoglio e nostalgia il giorno in cui suo padre, un riconosciuto medico, lo ha incontrato nella Trump Tower di New York.

Quello di Witcher sembra essere un amore incondizionato: “Quello che mi appassiona è l’essere umano meraviglioso, la sua essenza. La gente non lo conosce perché i mezzi di comunicazione danno un messaggio completamente erroneo su di lui -spiega-. Il suo cuore è così bello, aiuta con tante cose di carità. Potrebbe essere il miglior presidente del mondo intero. Hillary Clinton va verso il cammino del comunismo, qui lo chiamano socialismo ma non è socialismo quando c’è una dittatura”.

Sul tema della migrazione, Witcher considera una discriminante la moralità di chi ha la possibilità di arrivare e vivere negli Stati Uniti con documenti regolari, e chi entra nel Paese senza permesso. Racconta della sofferenza che vive ogni volta in cui pensa alle persone che muoiono nel tentativo di attraversare la frontiera meridionale del Paese, ma non ammette che si permetta ai violentatori di farlo. “I violentatori non dovrebbero vivere in nessun posto al mondo, dobbiamo mettere fine a tutto ciò, abbiamo perso moltissimi cittadini americani di tutte le razze. È vero, ci sono moltissimi esseri umani belli, però per il bene di Messico e degli Stati Uniti, tutti devono avere i propri documenti in regola”.

“Non mi piace quel pagliaccio (Trump, ndr), è una marionetta delle imprese. Ma quella che mi spaventa è Hillary Clinton, lei ha l’appoggio delle aziende che sostengono i centri di detenzione per migranti. Trump ci sta facendo un favore, grazie a lui i razzisti stanno facendo outing”, dice Antonia Álvarez, donna di origine messicana che fa parte dell’Asamblea de Derechos Civiles de Minnesota, un’associazione statunitense che lotta per i diritti dei migranti. Antonia Álvarez è preoccupata perché gli ispanici sono il gruppo che meno vota negli Stati Uniti: secondo il Pew Hispanic Center, solo il 44% della popolazione di origine latinoamericana si reca alle urne. “Molti di noi hanno figli nati negli Stati Uniti, però spesso questi ragazzi non votano perché i genitori hanno insegnato loro che in Messico votare non serve a nulla, e per questo non vogliono votare neanche qui”.

Secondo David Ayon, politologo e collaboratore dell’istituto di ricerche Latino Decisions, Trump seduce gli elettori facendo loro credere di avere successo negli affari e di sapere come creare posti di lavoro. “Possiamo riscontrare nella cultura politica latinoamericana una tendenza a simpatizzare per gli uomini forti, come Perón o Chávez, e Trump cerca di mostrare la sua forza proprio attaccando gruppi vulnerabili come i migranti irregolari”, spiega Ayon.

Il politologo sottolinea come molti statunitensi di origine latinoamericana, anche i cubani che sono tradizionalmente considerati un gruppo conservatore, si sono sentiti offesi da questo attacco e si sono raccolti intorno all’esigenza di non permettere la sua elezione. “Abbiamo dati che provano un forte aumento delle richieste di cittadinanza da parte degli ispanici”, afferma Ayon. Secondo il Department of Homeland Security, nel 2016 le nazionalizzazioni sono aumentate del 20% e alcuni analisti affermano che buona parte della comunità latina ha preso la decisione in funzione anti-Trump. Nella storia degli Stati Uniti, non c’erano mai stati tanti elettori ispanici.

ALTRECONOMIA- REPORTAGE - INCHIESTA

L' esercito iracheno entra a Mosul. Onu: “Isis usa civili come scudi umani”

Decine di donne e bambini in fuga da Mosul vengono accolti e messi in salvo dai soldati iracheni. Nella città sono migliaia le persone rimaste intrappolate nella battaglia di liberazione mentre l'ONU accusa l'Isis di usare i civili come scudi umani.
“Abbiamo rapporti secondo i quali l’Isis ha cercato di trasportare circa 25.000 civili da Hammam al-Alil a bordo di camion e minibus verso Mosul e nei dintorni della città- ha dichiarato la rappresentante delle Nazioni Unite Ravina Shamdasani, esprimendo “profonda preoccupazione per la sicurezza di queste persone e le altre decine di migliaia di civili che sarebbero state forzatamente trasferite dall’Isis nelle due ultime due settimane”. Alcuni rapporti riferiscono di esecuzioni di massa da parte dell’Isis. Sabato, 40 ex membri della Forza di sicurezza iracheni sono stati uccisi ed i loro corpi sono stati gettati nel fiume Tigri.
Per non parlare delle vittime del codiddetto “fuoco amico”. Otto civili di una stessa famiglia, tre dei quali bambini, secondo il Guardian, sono stati uccisi per errore nei giorni scorsi da un raid Usa sulla loro casa nel villaggio di Fadhiliya, pochi chilometri fuori Mosul.  È la prima volta, scrive il sito del giornale, che un raid occidentale uccide civili da quando è iniziata l’offensiva per riprendere Mosul. Gli Usa fanno sapere di aver condotto un raid nell’area il 22 ottobre e che indagheranno sulla vicenda.
Sta di fatto che le persone  uccise nel mese di ottobre in Iraq sono 1.792 , di cui almeno 1.120 civili; gli altri 672 appartenevano alle forze di sicurezza irachene: curdi pershmerga e milizie che combattono a fianco dell’esercito. I feriti sono 1.358 . La città più colpita è Baghdad con 268 civili uccisi e 807 feriti seguita dalla provincia di Ninive, con capitale Mosul, con 566 morti e 59 feriti.
L'ONU ritiene che si aggiri intorno al  milione il numero dei civili intrappolati  lungo tutta la linea del fronte orientale. Sono stati già allestiti per questo grandi campi profughi. Decine di persone sono già  riuscite ad attraversare le linee jihadiste per essere accolte dai vittoriosi Peshmerga  nella ‘trincea Bashiq’, dove i missili anti-carro Folgore italiani hanno sconfitto e abbattuto l’artiglieria pesante del Califfo.
D.Bart

domenica 23 ottobre 2016

YEMEN - LA GUERRA DIMENTICATA, VERGOGNA DELL'OCCIDENTE.

Sullo sfondo della sanguinosa tragedia  mediorientale giganteggia l'ombra minacciosa del cosiddetto mondo libero, che non si limita ad assistere indifferente al massacro di civili, ma quel massacro lo alimenta vendendo armi, e garantendo in sede Onu la copertura politica ai responsabili del terrorismo di Stato. Lo Yemen, dove l’Arabia Saudita perpetra da tempo crimini contro l’umanità, svergogna clamorosamente l’Europa.
Le cronache degli ultimi giorni raccontano di diversi missili lanciati dalle coste yemenite verso navi militari statunitensi dispiegate nel Mar Rosso, al largo dello Yemen ma in acque internazionali, con relativa risposta missilistica americana. Ciò di cui non si parla, è che dopo diciannove mesi di operazioni militari più di 6.800 persone sono già state uccise nella campagna lanciata dalla coalizione panaraba-guidata dall’Arabia Saudita -per rispondere alla minaccia dei ribelli Houthi. Centinaia di civili continuano a essere falcidiati, gli sfollati sono ormai oltre tre milioni, la popolazione è allo stremo. Oltre la metà degli yemeniti dipende dagli aiuti umanitari e solo un bambino su 10 riesce ad arrivare vivo ai cinque anni. E di tutto ciò è  responsabile anche l'Occidente, attraverso la propria complicità. Ancor più che in Siria. Secondo Akbar Shahid Ahmed, tra i più accreditati analisti mediorientali, Barack Obama potrebbe mettere fine alla strage in corso in poche ore, se solo lo volesse. Ma al momento ciò non pare rientrare nelle priorità USA.
L’anno scorso, sottolinea Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, l’Arabia Saudita riuscì a convincere la maggioranza degli Stati del Consiglio Onu dei diritti umani a votare contro l’istituzione di una Commissione internazionale sui crimini di guerra commessi in Yemen. Venne così approvata una inutile risoluzione a sostegno della neo-istituita Commissione nazionale yemenita sui diritti umani che non stabilirà la verità né favorirà la giustizia.
Perché spesso la giustizia non si concilia con gli affari. Quegli sporchi affari che l’Occidente continua a intessere con Riad, affari di armi, affari miliardari. Dal marzo 2015, Washington ha autorizzato la vendita di armamenti a Riad per un valore di 22,2 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali devono essere ancora erogati. La lista include 1,29 miliardi di dollari in munizioni per fucili automatici. Ma lo scaldalo non riguarda solo gli Stati Uniti. Investe anche Parigi: il Presidente francese Hollande e il Primo ministro Valls hanno recentemente firmato contratti per 10 miliardi di euro con il regno saudita. Alla vergogna non si sottrae nemmeno l'Italia, dal momento che buona parte delle bombe sganciate dai caccia sauditi sulle città yemenite porta incisa la sigla : MK83, un modello prodotto da Rwm Italia con sede operativa a Domusnovas, nel cagliaritano. Proprio da qui, nel 2015, sono partite cinquemila bombe. Un quinto in più rispetto all’anno precedente. Inutile ricordare che le autorizzazioni all’export dell’industria bellica vengono rilasciate dal nostro ministero degli Esteri. Regola che vale anche per le armi assemblate dalla succursale italiana dal colosso tedesco Rheinmetall Defence. Tutti sembrano aver dimenticato che la risoluzione del Parlamento Europeo adottata lo scorso 25 febbraio stabilisce «l’istituzione di un embargo sulla vendita delle armi alla Arabia Saudita». Il nostro Ministro Roberta Pinotti non ha nulla da dichiarare?

D.Bart.

mercoledì 12 ottobre 2016

SIRIA. UNA STRAGE SENZA FINE

ALTRI 5 BAMBINI MUOIONO SOTTO I RAZZI LANCIATI SU UNA SCUOLA

Sarebbe opera dei terroristi il lancio di razzi che ha colpito ieri la scuola elementare di Daraa, causando l'uccisione di altri 5 bambini. Nel mirino delle forze antigovernative c'era il quartiere di Sahari, nel sud della Siria, una zona controllata dal regime di Damasco. La notizia è stata diffusa dall'agenzia ufficiale Sana e dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). La televisione di Damasco, citando le stesse fonti, afferma che il bombardamento con mortai  avrebbe causato anche il ferimento di altri civili, adulti e bambini, alcuni dei quali in gravissime condizioni. Purtroppo, quelle di Daraa, non sono state le uniche vittime della giornata. Altre dieci persone sono morte in un attacco dell'Isis compiuto in un villaggio vicino alla città di Manbech, nel nord della provincia settentrionale di Aleppo. Il kamikaze ha puntato l'azione contro i famigliari del parlamentare siriano Diab al Mashi, che si trovava in visita nel suo villaggio natale, quello di Al Mashi. Oltre a quello dei morti non si conosce ancora il numero dei tanti feriti.

domenica 17 luglio 2016

BATON ROUGE: UCCISI ALTRI POLIZIOTTI. UNA FENDITURA CHE SANGUINA DIVIDE LA CITTA'. OBAMA FINGE DI NON CAPIRE



Oggi a Baton Rouge sono stati uccisi altri tre poliziotti.
Obama finge di non capire che in America, a fare la differenza, non sono le pistole, ma l'ingiustizia sociale.
 
Baton Rouge è la città dove il movimento per i diritti civili organizzò il primo boicottaggio degli autobus, ed è anche quella che ha impiegato più tempo per mettere in atto la desegregazione nelle scuole. Questo tratto distintivo condiziona ancora profondamente  la vita della città. Christopher J. Tyson, docente di diritto alla Luisiana State University di Baton Rouge, la descrive così : una città divisa in due. Una parte a sud, formata da un labirinto di stradine private e lussuosi centri commerciali, elegante, piena di luoghi di divertimento e abitata prevalentemente dalla borghesia bianca. L'altra a nord, uno squallido aggregato di vecchi quartieri e strutture abbandonate, perlopiù povera e abitata da neri. E' li che il 5 luglio è morto Alton B. Sterling, l'uomo che vendeva cd per strada, l'uomo che due poliziotti hanno immobilizzato a terra per sparargli a bruciapelo, lasciandolo morire disanguato mentre lo perquisivano alla ricerca di un'arma. Baton Rouge svetta al primo posto nel Paese per percentuale di casi di hiv e aids ogni centomila abitanti. Per molti anni è stata una delle capitali statali con il più alto tasso di omicidi. Un terzo dei cittadini neri vive al di sotto della soglia di povertà. Molti considerano le condizioni dei quartieri neri di Baton Rouge come il risultato di una serie di scelte di vita sbagliate. Tyson, che vive li, sostiene che questo è un modo pigro di pensare e una menzogna che implica la cancellazione della vera storia di questa città e di altre in America.

Baton Rouge nord è in realtà il risultato di determinate scelte politiche, di schemi sociali precisi e del prezzo che finiscono per pagare i quartieri, le famiglie e le singole persone. E' la storia, molto americana, di come ai neri sia stata puntigliosamente negata l'opportunità di vivere in quartieri sicuri. Questo è il contesto in cui un uomo arriva a vendere i cd a mezzanotte per sfamare la sua famiglia. Questo è il contesto in cui matura la rabbia, la frustrazione che stanno esplodendo li.




La linea di separazione che attraversa la città è determinata dal colore della pelle e dalla classe sociale. Un linea che è stata deliberatamente tracciata da quel " Divide et impera"che caratterizza da sempre il Potere. Più che una linea, è una frattura che reclama vendetta: la campagna e le belle parole  contro la vendita delle armi non possono cancellare o rimarginare la fenditura sanguinante. Non così, almeno, non sequestrando pistole.
Barak Obama sbaglia quando dice che in America ne circolano troppe.



D.Bart

sabato 11 giugno 2016

LIBIA - SI COMBATTE STRADA PER STRADA. LIBERATO IL PORTO DI SIRTE. ISIS IN FUGA




"Stiamo combattendo tra le case, le strade, e non vogliamo tornare indietro prima di averli eliminati", racconta un combattente del Governo di Accordo Nazionale in Libia (GNA), che chiede di  conservare l'anonimato. 
Le forze libiche hanno già da qualche ora riconquistato il porto di Sirte, da oltre un anno nelle mani dell'Isis che ne aveva fatto la propria roccaforte. I jiadisti, in fuga, sono attualmente barricati e circondati in un'area di circa cinque chilometri quadrati all'interno della città. Si tratta del vasto centro congressi "Gheddafi", un tempo sede di vertici internazionali, e che ospita oggi un centro di comando dello Stato islamico. 
Un corrispondente dell'Agence France-Presse racconta di pesanti, feroci combattimenti avvenuti in strada a circa due chilometri dal centro di Ouagadougou. Le forze del Governo di Accordo Nazionale hanno fatto uso di carri armati, lanciarazzi e artiglieria, alle quali i jihadisti hanno risposto con mitragliatrici, colpi di mortaio e fuoco dei cecchini.















Gli aerei da guerra hanno effettuato attacchi attorno al centro congressi e altre posizioni occupate dall'Isis, mentre il portavoce del GNA, Rida Issa, riferisce che le forze antijiadiste hanno anche riconquistato una zona residenziale nella parte orientale della città. 
La caduta di Sirte, città natale di Muammar Gheddafi, rappresenterebbe una battuta d'arresto davvero importante per gli estremisti islamici, che hanno già perso territorio in Siria e in Iraq dove hanno installato il "califfato".
Il rapido avanzamento anti-Isis ha sorpreso le stesse autorità libiche.
"La battaglia è stata meno difficile di quanto avessimo ipotizzato" ha detto un funzionario del governo.
I Servizi di intelligence esteri da mesi stimano che il gruppo estremista possa contare su circa 5.000 combattenti in Libia, ma la sua vera forza all'interno di Sirte e il numero di civili che vivono in città sono ancora un mistero e un' incognita per tutti.



Il  bilancio provvisorio dell'attacco parla di 11morti e 45 feriti tra le forze fedeli al governo, vittime per lo più del fuoco dei cecchini.
Le forze che affiancano il GNA sono costituite da milizie di varie città, in particolare Misurata, e da guardie di impianti petroliferi. La liberazione di Sirte, secondo i combattenti, dovrebbe avvenire nell'arco di  "due o tre giorni." 

D.Bart

mercoledì 8 giugno 2016

PRESIDENZIALI USA: FBI CONTRO HILLARY E LA FRODE DI TRUMP. COMUNQUE VADA SARA' UN INSUCCESSO




Ora i dubbi stanno davvero a zero, Hillary Clinton ha incontestabilmente conquistato la nomination per il partito democratico. Sarà  lei perciò a fronteggiare l'avversario repubblicano, Donald Trump, per la presidenza degli Stati Uniti d'America l'8 novembre prossimo.
Per la prima volta una donna ha conquistato la nomination di uno dei grandi partiti statunitensi. Ora potrebbe  diventare anche la prima donna a sedere sulla poltrona di comando della Casa Bianca. "Questa è una giornata storica" ha detto la stessa Hillary. Consapevole, credo, che la strada da percorre sia ancora tutta in salita. E che salita.



TRUMP, L'AVVERSARIO PERICOLOSO 



Il suo diretto avversario, Donald Trump, non gode, è vero, della fiducia e della stima di alcuni Stati alleati, politicamente corretti. Non piace per il suo l'odio cieco, indiscriminato, estremista contro i musulmani. È anche un razzista,  che si è inimicato molte fasce della popolazione americana: le donne, i neri, le minoranze etniche, soprattutto latinos- messicani. Ma nelle ultime settimane è riuscito a superare la Clinton nei sondaggi nazionali. Perchè?
Perchè lei è considerata a sua volta una donna dell'establishment, spesso indicata anche da altri esponenti democratici, a cominciare dallo stesso Sanders, come vicina alle lobby finanziarie, ritenute responsabili dell'impoverimento della classe media. Insomma, Hillary, è una persona percepita come politicamente siliconata, finta.
 Trump, invece,  è riuscito a dare di sé un' immagine di sincerità. Dice pane al pane, vino al vino, parla in modo in modo chiaro e semplice: poche parole, frasi brevi e comprensibili , capaci di raggiungere quella fascia di elettori poco scolarizzata, ma molto arrabbiata per gli ultimi anni di crisi.



SANDERS- IL FUOCO AMICO

Bernie Sanders, l' avversario nella nomination, pur avendo  licenziato metà del suo staff dopo le primarie del 7 giugno, pare deciso a tirare ancora  la corda, a portare a termine quella che considera una missione: trascinare il Partito Democratico il più possibile a sinistra sulle questioni  che riguardano l'aumento delle disuguaglianze economiche e sociali. 
Hillary Clinton si è già verbalmente affiancata a tali posizioni, ma non basta. I due dovrebbero arrivare ad un compromesso. A fare il miracolo potrebbe essere proprio l'attuale Presidente, la bandiera dei liberal, Barack Obama, che nelle prossime settimane dovrebbe affiancarla nella campagna elettorale 
Con l' appoggio di Sanders, alla Clinton potrebbe arrivare anche il voto di quella parte tanto arrabbiata e sfiduciata nei confronti dall'establishment Politico, e che ora minaccia di appoggiare il candidato antisistema, Donald Trump.



EMAILGATE - LE INDAGINI FBI


Un altro ostacolo, e non di poco conto, si pone sulla strada di Hillary nella sua corsa alla Casa Bianca. L'intralcio s'annuncia con una scritta minacciosa: Federal Bureau of Investigation -  emailgate. Riguarda i 4 anni da segretario di Stato della Clinton e l'utilizzo che ella fece - sia per la corrispondenza privata sia per quella di lavoro- di un server di sua proprietà. Non era illegale all'epoca, fermo restando che tutte le email inviate dovevano essere archiviate dal Dipartimento di Stato per verificarne la correttezza. La  Clinton, purtroppo, ha consegnato tutta la corrispondenza di lavoro, ma ha distrutto quella personale, rendendo così  impossibile la verifica. Occorrerebbe quindi una atto di fiducia, cosa che i suoi avversari, sia democratici che repubblicani, non vogliono accordarle
Le indagini hanno ora  stabilito che in almeno 2100 casi sarebbero passate  informazioni riservate non indicate come tali. Quindi, se venisse fuori che la Clinton ha davvero violato lo Espionage Act  e l' FBI formulasse un'accusa formale in tal senso prima della convention di novembre, la candidata del Partito Democratico dovrebbe fare un passo indietro e accettare l' evenienza  di una convention aperta, in cui  un altro prenderebbe il suo posto. Forse, l'attuale vicepresidente Joe Biden.
Ma dal momento che non è obbligatorio ritirare la propria nomination, Hillary potrebbe decidere di battersi fino all'ultimo scontro.



I GRATTACAPI DI TRUMP

Va detto che  anche il miliardario di New York ha i suoi scheletri nell'armadio, a cominciare da quella discussa dichiarazione dei redditi mai resa nota. Pare..... Si dice...... Va' a sapere se è vero.....!  Comunque, il Trump  avrebbe approfittato di uno sgravio fiscale destinato a chi guadagna meno di 500000 dollari l'anno. Un errore? Oppure il magnate è meno ricco di quanto ci ha fatto credere? 
Inoltre, lo schietto capopopolo, rischia un'accusa formale per frode a proposito delle sue Trump University. Atenei a cui si sono iscritti migliaia di studenti, uomini e donne, desiderosi di realizzare il sogno di un successo negli affari, simile a quello di Donald Trump. ADnkronos scrive: "Il giudice di New York, Cynthia Kern, ha infatti stabilito che vi sono elementi per rinviare a giudizio l'ateneo che prende il nome da Trump per aver ingannato e truffato migliaia di studenti riguardo alle vere possibilità offerte dai suoi corsi, come sostiene il procuratore generale di New York, il democratico Eric Schneiderman, che ha chiesto, a nome dei 5mila studenti che hanno pagato 35mila dollari per il corso, un risarcimento di 40 milioni di dollariL'accusa infatti sostiene che l'Università non aveva i riconoscimenti accademici quando ha iniziato ad operare nel 2005 e prometteva incontri e lezioni da parte di esperti immobiliari scelti personalmente da Trump, cosa che si è poi rivelata falsa. Gli avvocati del miliardario, che riconoscono che il processo potrà svolgersi il prossimo autunno, sperano che sia un procedimento con giuria popolare".


PERCHE' SI, PERCHE' NO, HILLARY.

Hillary Clinton è certo la più allenata nella storia dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti. E' stata una grande attivista in gioventù;  first lady in Arkansas, quando Bill era governatore dello Stato, e poi alla Casa Bianca dopo l'elezione del marito. In seguito è stata senatrice per lo stato di New York, e dopo, segretario di Stato - dal 2008 al 2012 - sotto la presidenza di Obama.

E' vero anche che nel 2003 Hillary Clinton votò a favore dell'intervento miliare in Iraq, decisione che divise il suo stesso partito facendole perdere la nomination democratica del 2008, che passò ad Obama. Hillary era inoltre a conoscenza del vero, spudorato piano di Sarkosy di attaccare la Libia per impedire a Gheddafi la realizzazione di una nuova moneta panafricana, e ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio libico a danno dell'Italia. 

Dunque, comunque vada, vinca l'uno o vinca l'altra, sarà un insuccesso!

D.Bart.






martedì 31 maggio 2016

PRESIDENZIALI USA. PERCHE' LA VITTORIA DI TRUMP SAREBBE UNA TRAGEDIA NON SOLO PER L'AMERICA




Dunque, per il miliardario Donald Trump la conquista della nomination repubblicana è cosa fatta; salgono persino le probabilità di una sua vittoria alla presidenza degli Stati Uniti d'America. Gli ultimi sondaggi lo danno in vantaggio rispetto ad una Hillary un po' affaticata. 
E io credo che se ciò dovesse accadere l'impero USA rischierebbe la propria fine insieme con quella del suo dollaro
Perché Trump è un pericoloso estremista. Lo si può affermare senza ombra di smentita dopo averlo letto ed ascoltato. Sono note ormai le sue intenzioni di chiusura verso i non americani, soprattutto se messicani o musulmani. Si conoscono le misure oppressive che si propone di attuare, come le limitazioni del web per avversare il terrorismo e quelle caustiche contro la Cina in favore del protezionismo locale.
Trump non è moderato e non è politicamente corretto. A differenza dei Bush, aggressivi, certo, in politica estera, ma  politicamente accettati dai vari capi dei governi alleati.

POLITICA ESTERA - Se gli USA, come avveniva agli inizi del secolo scorso, basassero ancora la propria ricchezza sulle risorse interne, la vittoria di un Trump non farebbe differenza rispetto a quella di qualsiasi altro, ma l'America di oggi accusa un costante deficit della bilancia commerciale, ha un debito pubblico enorme nei confronti di paesi stranieri, anche avversi come la Cina. Se quella di Obama è stata una leadership moderata ma debole, quella di Trump rischia di essere una leadership forte ma oltranzista. In che modo si opporrà la Cina agli americani  che vogliono ostacolare i suoi affari? E come reagiranno gli alleati islamici nei confronti di un presidente che odia il mondo musulmano?
Se Trump dovesse aumentare  la pressione sulla Cina e, a livello militare, intervenire pesantemente per schiacciare gli estremisti islamici, questi potrebbero reagire dichiarando guerra al dollaro, innescando una discesa senza rimedio e conflitti militari spaventosi


POLITICA INTERNA - Se Trump restasse fedele al suo atteggiamento xenofobo e prevaricatore espellendo gente, costruendo muri, le tensioni con le minoranze etniche e religiose inevitabilmente esploderebbero. Il candidato repubblicano si dice favorevole alla tortura contro i terroristi per ottenere informazioni. Ha promesso che, se eletto, reintrodurrà tutte le pratiche messe al bando da Obama. Ha proposto di uccidere i famigliari dei terroristi per scoraggiare nuovi attacchi contro l'America. Neri, ispanici, musulmani  esasperati da una repressione brutale potrebbero unirsi in una rivolta comune, concertata, tale da prefigurare le dimensioni di una guerra civile.

Politiche e repressioni troppe violente causerebbero inoltre la condanna da parte degli alleati.
Gli Stati Uniti reggono il proprio potere sulla supremazia valutaria del dollaro, ma alcuni cambiamenti, come la scelta dello Zimbabwe di utilizzare lo Yuan cinese, o la decisione dell’Iran di commerciare il petrolio in Euro e non i dollari, dimostrano che è già in atto una rivolta verso il sistema. Se poi a rappresentarlo arriva un Presidente inviso a gran parte degli altri Stati, il potere del dollaro potrebbe dissolversi con conseguenze drammatiche. Qualcuno potrebbe scongiurare questa catastrofe? E come? Facile, facile: interrompendo la corsa del magnate. E' cronaca vera, non fantapolitica, quella che racconta di scandali, ricatti, soppressioni violente. Ma se nessuno ferma Trump vuol dire che probabilmente gli stessi Poteri Forti, presenze oscure e senza patria, non hanno più interesse a difendere la grande Potenza Americana. Queste elezioni, detto seriamente, hanno davvero un’importanza epocale: potrebbero stravolgere le certezze dell'Occidente, cambiare la vita di molti popoli. E non in meglio.


Spesso accade che i politici, una volta eletti, moderino gli atteggiamenti esibiti in campagna elettorale. Nel momento strategico tutti tendono a sfruttare le paure dei popoli. E anche Trump, una volta ottenuta la presidenza, potrebbe rivelarsi un leader più moderato. Ci credo poco, ma ipotizzar non nuoce.

D.Bart