Un cronista di Declassified UK ha chiesto al presidente israeliano se si considerasse un criminale di guerra. La domanda è stata posta mentre Isaac Herzog percorreva Downing Street per un incontro con il Primo Ministro del Regno Unito, Keir Starmer.
L’appuntamento è iniziato con una calorosa stretta di mano che ha suscitato indignazione sui social britannici. Del tipo:
“a un assassino di massa non dovrebbe essere permesso di entrare nel Regno Unito, figuriamoci di visitare il numero 10 di Downing Street”.
“Il regime di Starmer è complice dei crimini dei colonizzatori della Palestina”.
“Grazie infinite per aver affrontato a gran voce funzionari così disgustosi. Lasciate che sentano la pressione. Lasciate che ascoltino la voce di chi prima o poi li estrometterà. Il genocidio è solo una parte della storia”.
“@Keir_Starmer Sei una persona davvero sfacciata che accoglie questo criminale assassino di bambini.”
“Riuscite a immaginare se Hamas mandasse un drone a eliminarlo mentre è a Londra? Cosa farebbe la NATO?”
Questo il tenore dei commenti, che ho scelto tra i tanti e meno feroci. Ma prima dei social, altri hanno illustrato quel che comunemente viene ormai definito “banalità del male”.
Un concetto che meglio di tutti ha spiegato Hannah Arendt, coniandolo
nel suo libro del 1963
“La banalità del male"
Eichmann a Gerusalemme”, che descrive come individui comuni possano diventare complici di atti orribili semplicemente eseguendo ordini, dimostrando mancanza di riflessione o mancanza di empatia per le esperienze altrui. Suggerisce che il male può sorgere non solo da figure mostruose, ma da comportamenti banali, irriflessivi e burocratici, una consapevolezza che Arendt trasse osservando Adolf Eichmann, un funzionario nazista tra i principali organizzatori dell'Olocausto.
Arendt osservò il processo del 1961, quando Eichmann si presentò come un semplice burocrate che eseguiva gli ordini e faceva carriera, piuttosto che come una persona profondamente malvagia o piena di odio.
Rimase colpita dall'aspetto "terribilmente normale" di Eichmann e dalla sua apparente mancanza di pensiero critico, concludendo che la sua malvagità non era radicata in una profonda malizia, ma in un impegno "sconsiderato" nei confronti dei suoi doveri.
Il concetto sfidava l'idea che solo i criminali straordinari commettessero atrocità, sostenendo che anche le persone comuni, in determinate condizioni, fossero capaci di partecipare a grandi malvagità.
La "banalità del male" sottolinea il ruolo del conformismo irriflessivo, dei processi burocratici e del distacco dei compiti quotidiani dalle loro orribili conseguenze.
MANCANZA DI EMPATIA.
Arendt ha individuato nella "riluttanza a immaginare cosa stia provando l'altra persona" un elemento fondamentale della banalità del male e
trovava più spaventoso che un simile male potesse essere compiuto da individui apparentemente comuni e sconsiderati, piuttosto che da sadici o ideologi.
Il concetto di responsabilità “sottolinea l'importanza del pensiero critico individuale, del giudizio indipendente e della consapevolezza delle proprie azioni per prevenire la complicità in danni sistemici".


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