Nel 2014, Igor Girkin, detto il cecchino, è diventato il volto della ribellione nella regione ucraina del Donbas contro il nuovo governo a Kiev.
Era un veterano dei conflitti scoppiati nell'ex Unione Sovietica dopo il suo crollo, e della Cecenia
Nel febbraio del 2014, dopo la fuga dall’Ucraina del presidente filo-russo Yanukovych, Girkin aveva contribuito a creare le condizioni per l'annessione della Crimea, per poi passare al Donbas, divenendo ministro della difesa dell'auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetsk'.
Qui, ha contribuito a trasformare quello che avrebbe potuto essere un semplice disordine irregolare in un conflitto violento. Fino a che ha litigato con Mosca.
Per due motivi:
-In primo luogo attirava troppa attenzione, soprattutto dopo essere stato coinvolto nell'abbattimento dell'aereo di linea malese - MH17 - e per il quale ora è stato processato (in contumacia) nei Paesi Bassi.
-In secondo luogo, non era d'accordo sugli obiettivi politici. Voleva che il territorio del Donbas (e oltre, se possibile) seguisse il destino della Crimea per entrare a far parte della Federazione Russa.
Putin tentennava. Militarmente, sarebbe stato certamente più facile allora di quanto lo sia oggi, ma, Putin, avrebbe preferito lasciare il Donbas all’Ucraina, sotto forma di una nuova costituzione che avrebbe garantito diritti extra, quindi, la possibilità di influenzare, in un secondo tempo, la futura direzione politica di Kiev.
E Girkin, che pensava fosse un'occasione persa, fu ordinato di tornare in Russia e stare zitto.
PUTIN E IL DILEMMA DEL DONBAS
Per seguire la sua strategia preferita, Putin dovette prima fermare i separatisti che perdevano contro le forze ucraine. Lo fece nell'agosto del 2014, inserendo nella battaglia forze regolari russe.
Dopo aver inflitto pesanti colpi all’esercito ucraino, accettò i colloqui per il cessate il fuoco, che portarono agli accordi di Minsk in settembre; accordi leggermente rivisti nel febbraio successivo, dopo ulteriori combattimenti e, in pratica falliti, perché mai attuati.
Vi sono molte interpretazioni sul perché Putin abbia scatenato questa guerra.
Non ultimo il ruolo della NATO e le richieste di un nuovo ordine di sicurezza.
Ma il punto centrale resta sempre l'Ucraina, e l'incapacità di Putin di accettarla come uno stato indipendente, che sta rinunciando ai suoi legami storici con la Russia per avvicinarsi sempre più all'Occidente.
Così, mentre Putin sviluppava i suoi piani, Girkin definiva la sua ex enclave una discarica, con i suoi abitanti in condizioni peggiori di quelle che avrebbero avuto in Russia o in Ucraina.
Quando Putin organizzava un massiccio accumulo di forze intorno all'Ucraina, Girkin era scettico, ritenendo che fossero insufficienti per completare la piena invasione del Paese. Sospettava che Putin, al massimo, avrebbe tentato un'operazione limitata al Donbass.
Ora, dopo un mese di guerra, Girkin sottolinea quanto catastroficamente errata sia stata la valutazione delle forze ucraine da parte di Mosca, e segnala il rischio di una lunga, debilitante e sanguinosa guerra. Vede il conflitto in termini apocalittici.
Tuttavia, la sua reazione non è quella di abbandonare la guerra, ma di raddoppiarla, raccogliendo maggiori riserve dall'interno della Russia; mettendo l'intera economia sul piede di guerra; interrompendo tutti i negoziati con Kiev; cercando di conquistare più territori da annettere alla Russia.
La guerra, insiste, deve essere completamente vinta
o sarà completamente persa.
EVITARE LA SCONFITTA
Girkin stesso, ora, è una figura di poca importanza, ma la linea che sta proponendo, e il consiglio impossibile che sta dando, indica quanto sia alta la posta in gioco per Putin. L'attenzione occidentale è naturalmente attratta da quelle persone coraggiose che sulle strade russe protestano contro una guerra crudele e catastrofica. La speranza di una sorta di cambiamento di regime a Mosca, comunque possa essere organizzato, trasmette il desiderio di una figura più ragionevole e meno ossessiva di Putin. Qualcuno pronto a porre fine alla guerra e a ristabilire relazioni amichevoli con il resto del mondo. Ciò consentirebbe di superare le sanzioni e dare inizio alla massiccia ricostruzione dell'Ucraina.
Per il momento, è importante notare che sono i nazionalisti ad essere i più stimolati dall'aggressione di Putin, e che saranno loro i più angosciati se il piano dovesse fallire.
Mentre le crepe cominciano ad apparire persino sui media controllati dallo stato, Putin non mostra alcun segno di cedimento su quelle che ritiene essere richieste fondamentali. Non osa confermare la debolezza della sua posizione.
Nella sua dichiarazione del 25 marzo, il vice ministro della Difesa russo aveva annunciato che la prima fase dell'operazione era stata conclusa con successo, con ingenti danni alla macchina militare ucraina, e che ora l’operazione si sarebbe concentrata sull'obiettivo principale: il Donbas.
Questo sembrava lasciare Kiev e Chernihiv fuori dall’escalation dei violenti bombardamenti.
Ma il vero scopo era quello di riorganizzarsi per prepararsi a nuove offensive.
Un nuovo focus di missili e granate hanno continuato a colpire ogni tipo di obiettivi, sia civili che militari, a Chernihiv, a Kiev e altrove.
I negoziati devono ancora registrare progressi concreti. Il presidente Macron, che punta più di tutti a mantenere le comunicazioni con Putin, è stato deluso nei suoi ultimi sforzi di stabilire un corridoio umanitario a Mariupol, per portare soccorso e permettere ai civili di fuggire.
Lo stato della guerra diventerà più chiaro nei prossimi giorni, ma non c'è motivo di dubitare che un certo grado di attenzione sia stato imposto all'esercito russo, in apparente difficoltà.
Gli eserciti riuniti per invadere l'Ucraina sono stati frustrati, esauriti, in termini di fatica e di forniture. La logistica e il morale sono problemi da affrontare con urgenza, sia per l’alto numero di vittime che per le attrezzature perse. Attualmente, a causa delle controffensive ucraine,
i russi non sono più in grado di mantenere tutte le posizioni al di là della regione del Donbas. Il ritiro da Kiev consente la ridistribuzione di forze che possono essere utilizzate per raggiungere l'obiettivo principale: il Donbass, appunto.
I rinforzi arriveranno, ma, sulla base delle informative, poche saranno le unità d'élite, molte coinvolgeranno truppe non disposte ad entrare in servizio, e l'equipaggiamento preso dalle riserve sarà obsoleto
Tutto ciò significa che per i russi sia concretamente più conveniente concentrarsi solo sul Donbas.
Ed esorta il presidente Zelensky a vedere in questo un'opportunità per porre fine alla guerra.
Altri si chiedono perché Putin non abbia semplicemente fatto del Donbass il suo unico obiettivo fin dall'inizio, invece di cercare di soggiogare tutta l'Ucraina e installare un nuovo governo a Kiev.
UN PREMIO DI CONSOLAZIONE?
Questa è una domanda che vale la pena affrontare, perché ci riporta al ruolo del Donbass, in tutta la drammaticità di questa triste storia. Ci ricorda perché, gli obiettivi politici e militari, non possono essere discussi separatamente l'uno dall'altro.
Nei giorni che precedettero l’'invasione, la narrazione russa riguardava la minaccia genocida dell'Ucraina nel Donbass.
I separatisti rimarcavano la necessità di evacuare i civili in Russia per la loro protezione dai bombardati ucraini.
Il 21 febbraio, Putin convoca la riunione del suo Consiglio di Sicurezza: sul tavolo, la questione se la Russia dovesse riconoscere (ma non annettere) gli staterelli indipendenti di Donetsk e Luhansk.
Alla fine della giornata si decide che si, in effetti, la Russia li avrebbe riconosciuti
ed avrebbe garantito la loro sicurezza.
Il 24 febbraio, quando Putin annunciò le ragioni dell'invasione, spiegò:
"Cercheremo di smilitarizzare e denazificare l'Ucraina, così come porteremo a giudizio coloro che hanno perpetrato numerosi crimini sanguinosi contro i civili, cittadini della Federazione Russa."
La rapida escalation delle preoccupazioni russe ha portato alla drammatica conclusione che solo con un cambio di regime a Kiev sarebbe stata garantita la sicurezza di questi territori.
Questo spiega, in parte, perché Putin non ha preso il Donbas nel 2014, quando aveva la possibilità di farlo.
Ma c’erano altre ragioni a trattenerlo.
-In primo luogo, il territorio non esprimeva un gran desiderio di unirsi alla Russia. Governarlo, sarebbe stato difficile e costoso.
-In secondo luogo, le sanzioni occidentali imposte alla Russia sarebbero state
molto più severe rispetto a quelle che seguirono l'annessione della Crimea.
-In terzo luogo, si sarebbe creato un nuovo confine tra Russia ed Ucraina che avrebbe richiesto un maggiore sostegno da parte dall'Occidente.
Tutte queste considerazioni sono valide ancora oggi.
Finché Putin rimarrà al potere, l'alienazione dell'Ucraina dalla Russia sarà completa, essa si integrerà ancor di più con l'Occidente.
Fintanto che il territorio ucraino sarà occupato, le severe sanzioni rimarranno in vigore e gli ucraini manterranno alta la pressione su qualsiasi nuova linea di cessate il fuoco che lasci il loro territorio sotto il controllo russo.
Il loro esercito, peraltro, non può più essere sottovalutato dalla Russia. Governare e controllare l’Ucraina creerà problemi immensi. La Russia ha distrutto la vita delle persone che si proponeva di “salvare”. Il risultato è stato quello di aver incenerito e spopolato città, con un residuo di abitanti distanti ed ostili, pronti a resistere e sostenere insurrezioni.
Questo è il motivo per cui prendere il Donbas non è un premio di consolazione soddisfacente per Putin, figuriamoci per coloro che gli chiedono di attenersi ai suoi obiettivi massimalisti.
È semplicemente una ricetta per la continua instabilità, che trasforma la follia di Putin del 2014 in una catastrofe ancora più grande, che impoverisce le risorse economiche e militari della Russia.
In tutte le ricerche per un accordo di pace è difficile evitare la conclusione che non vi siano buoni risultati per la Russia. Ha inflitto enormi costi umani, politici ed economici a se stessa, così come all'Ucraina. Nulla di ciò che Mosca può ora ottenere può superare tali costi. Se non è in grado di raccogliere un'offensiva finale per raggiungere i suoi obiettivi originali, non c'è una formula che permetta a Putin di fingere che tutto questo sia stato utile e che abbia ottenuto esattamente ciò che era stato previsto. Come ha osservato Igor Girkin, avrà perso completamente, così come una volta sperava di vincere.