Secondo alcuni commentatori esperti di Medio Oriente, una delle ragioni principali per cui così tante persone non colgono completamente il punto del conflitto Palestina-Israele è che lo vedono in termini di Islam contro Ebraismo.
Una visione completamente sbagliata del conflitto perché il modello storico della Palestina sarebbe
-secondo questa ricostruzione- un'equa coesistenza di religioni: in passato, ebrei, musulmani e cristiani coesistevano e avevano uguali diritti. Questo è ancora vero per musulmani e cristiani anche a Gaza, tuttavia, l'equilibrio paritario è stato alterato dalla creazione di uno stato colonialista di insediamento in cui gli ebrei hanno più diritti di qualsiasi altra religione. Questo è lo stato di Israele, basato sul modello di un'unica supremazia religiosa.
Quando si parla del conflitto israelo-palestinese, si parte dalla “dichiarazione Balfour” del 2 novembre 1917. Quel giorno, con un testo di appena 67 parole, il governo inglese informò Lord Walter Rothschild, uno dei principali leader della comunità ebraica nel Paese, che vedeva “con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
L’Assemblea generale dell’Onu, allo scopo di dare una patria a tutti gli ebrei dispersi nel mondo,
approvò un piano di partizione della Palestina. Lo Stato di Israele fu proclamato il 14 maggio 1948.
L’ anno dopo, gli ebrei conquistavano un territorio più ampio di quello che il piano dell’Onu aveva loro assegnato: più di 700.000 arabi palestinesi abbandonarono città e villaggi o ne furono espulsi. Fu loro poi negato ogni diritto al ritorno nelle proprie terre, sia durante sia al termine del conflitto.
I palestinesi commemorano ogni anno quella sconfitta nel giorno della ‘Nakba’ (catastrofe). Segui, nel 1956, la cosiddetta crisi di Suez fino alla Guerra dei sei giorni, 1967, che portò Israele a conquistare altri territori, compresa la Cisgiordania. Contrariamente a quanto era successo in precedenza, la comunità internazionale non riconobbe le conquiste territoriali, perciò, da allora, si parla di “territori occupati”.
Prima della creazione dello Stato d’Israele, il modello locale era basato sull'uguaglianza, ed è questo che la Palestina rappresenta ancora oggi per i suoi sostenitori.
Per quanto riguarda Hamas, è nato solo come reazione agli abusi commessi dai suprematisti ebrei sui palestinesi. Non esisteva prima delle prevaricazioni commesse e scomparirebbe completamente una volta ripristinati i diritti civili nella regione.
Questo è ciò che le persone di "destra" non riescono a capire o non vogliono capire: l'aspetto religioso del conflitto è stato creato dalla politica israeliana, e gruppi come Hamas sono solo una reazione al grave abuso dei diritti, in particolare sulla popolazione di Gaza, sottoposta a blocco e controllo da parte dei suoi carcerieri, che non può nemmeno avere un porto, un aeroporto, passaporti o libero scambio e viaggi!
Per comprendere le ragioni del conflitto occorre abbandonare l'inquadramento religioso e tornare all'equilibrio storico di pari diritti e giustizia per tutti. Guardare indietro a un modello di Palestina in cui la convivenza paritaria era all'ordine del giorno.
Naturalmente non c'è alcun incentivo a farlo da parte di coloro che traggono vantaggio dalla supremazia sugli altri, che distorcono sempre la realtà oggettiva per adattarla al proprio tornaconto materiale, presentandosi come vittime e negando di essere stati gli aggressori dal 1948.
Non si tratta semplicemente di stabilire se uguali diritti siano garantiti sotto il vessillo di Israele o della Palestina: devono tornare, indipendentemente dai colori della bandiera.
Il conflitto non è "Israele contro Palestina", ma tra uguaglianza di diritti e giustizia, supremazia religiosa e sfruttamento.

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