martedì 28 ottobre 2025

ANCORA BLOCCATI GLI AIUTI A GAZA. 10.000 LE VITTIME SOTTO LE MACERIE.




 Israele continua a bloccare l’ingresso di tende, case mobili e forniture essenziali a Gaza nonostante il cessate il fuoco sia giunto alla sua terza settimana. Secondo Hani Mahmoud, corrispondente di Al Jazeera a Gaza, cibo e acqua restano scarsi e gli ospedali non dispongono ancora di forniture mediche essenziali.



 


Il direttore della Rete delle organizzazioni della società civile di Gaza ha descritto la situazione come “catastrofica”, affermando che gli aiuti finora erogati soddisfano meno del 10% dei bisogni della popolazione. Sostiene che la Striscia ha urgentemente bisogno di 300.000 tende per dare rifugio ai residenti dal momento che oltre 1,5 milioni di palestinesi hanno perso la casa.





Squadre di ricerca palestinesi, aiutate da macchinari pesanti egiziani, stanno scavando tra le rovine di Gaza City e Khan Younis alla ricerca di prigionieri israeliani, mentre migliaia di palestinesi rimangono sepolti sotto le macerie.


La Croce Rossa ha accompagnato i membri delle Brigate Qassam durante la ricerca dei corpi dei prigionieri israeliani nel quartiere di Al-Tuffah, a est della città di Gaza.

Il braccio armato di Hamas, ha dichiarato di aver recuperato il corpo di un prigioniero israeliano e di averlo consegnato alle 21:00 di ieri, ora di Gaza. Hamas ne ha recuperati altri 18. Secondo Israele altri 12 sarebbero ancora sepolti sotto gli edifici distrutti durante i bombardamenti. 






Il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, ha diffuso la sua versione:

“-Siamo determinati a consegnare i corpi dei prigionieri dell'occupazione prima possibile.

-Stiamo operando per concludere la prima fase dell'accordo in modo da porre fine ai pretesti utilizzati dall'occupazione.

-Abbiamo consegnato 18 corpi di prigionieri, ma le capacità limitate ostacolano il recupero degli altri.

-La nostra gente a Gaza ha il diritto di portare le attrezzature necessarie per recuperare i corpi delle circa 10.000 vittime ancora sotto le macerie.

-Le affermazioni dell'occupazione secondo cui Hamas conoscerebbe l'ubicazione dei corpi sono false, poiché i punti di riferimento di Gaza sono stati cancellati e il territorio modificato dall'aggressione.”

domenica 19 ottobre 2025

20 ATTACCHI AEREI ISRAELIANI SU GAZA. HAMAS: NON ABBIAMO VIOLATO IL CESSATE IL FUOCO.





Oggi Israele ha lanciato oltre 20 attacchi aerei su Gaza sostenendo che Hamas ha violato il cessate il fuoco. 


L’offensiva ha raggiunto  diverse aree, comprese quelle lontane dalla "linea gialla", che segna il territorio tuttora sotto controllo israeliano. 

Le Forze di Difesa Israeliane hanno accusato  i combattenti di Hamas di essere usciti da un tunnel a Rafah per effettuare il   lancio di un missile anticarro contro un loro veicolo. Il capo di Stato maggiore tenente generale, ha affermato che l'attacco ha causato la morte di due soldati. 

Una "palese violazione del cessate il fuoco", secondo Israele, che ha disposto  "una serie di attacchi per eliminare la minaccia".


Ma Hamas e il suo braccio armato, le Brigate Qassam, hanno negato qualsiasi coinvolgimento nell’attacco, sottolineando di rimanere pienamente impegnati nel cessate il fuoco e di "non essere a conoscenza di incidenti o scontri a Rafah", descritta come una "zona rossa sotto il pieno controllo israeliano". 

I contatti con i combattenti rimasti lì, hanno affermato, sono stati interrotti a marzo alla ripresa della guerra. 


In una dichiarazione dettagliata, Hamas ha anche ribaltato le accuse, sostenendo che sia Israele ad aver violato sistematicamente l'accordo del cessate il fuoco, firmato il 9 ottobre a

Sharm el-Sheikh, in Egitto. Il gruppo militare imputa inoltre alle  IDF l’uccisione di almeno 46 civili e il ferimento di altre 132 persone dall'entrata in vigore dell'accordo. Il fuoco è stato aperto contro cittadini che, mentre tornavano nella Striscia dopo con la cessazione dei  bombardamenti, si erano inavvertitamente avvicinati alla "linea gialla". 

Secondo Hamas,  anche gli aiuti umanitari e i materiali per la ricostruzione sono stati bloccati mentre vengono trattenuti alcuni detenuti e i corpi di prigionieri deceduti in custodia. Il gruppo palestinese ha definito queste violazioni "tentativi deliberati di sabotare l'accordo" e "crimini contro l'umanità".

I funzionari statunitensi sono stati informati degli attacchi pianificati da Israele tramite il centro di comando americano che supervisiona l'accordo. Un alto funzionario dell'amministrazione Trump ha dichiarato ad Axios : "siamo a conoscenza della situazione ", aggiungendo che gli Stati Uniti hanno esortato Israele a "rispondere in modo proporzionato e con moderazione". L'inviato Steve Witkoff e il consigliere Jared Kushner sono attesi in Israele nei prossimi giorni per impedire un'ulteriore escalation e promuovere il piano di ricostruzione "Nuova Rafah" di Trump.


L'amministrazione USA  non ha rilasciato altre dichiarazioni pubbliche, mentre i palestinesi sul campo affermano che Israele ha utilizzato piccoli incidenti di sicurezza come pretesti per riprendere gli attacchi e bloccare gli aiuti.


Il Ministero della Salute e la Protezione Civile di Gaza stanno ancora accertando il numero effettivo delle vittime

IL SENSO DEL CONFLITTO PALESTINA-ISRAELE.




Secondo alcuni commentatori esperti di Medio Oriente, una delle ragioni principali per cui così tante persone  non colgono completamente il punto del conflitto Palestina-Israele è che lo vedono in termini di Islam contro Ebraismo. 

Una visione completamente sbagliata del conflitto perché il modello storico della Palestina sarebbe 

-secondo questa ricostruzione- un'equa coesistenza di religioni: in passato, ebrei, musulmani e cristiani coesistevano e avevano uguali diritti. Questo è ancora vero per musulmani e cristiani anche a Gaza, tuttavia, l'equilibrio paritario è stato alterato dalla creazione di uno stato colonialista di insediamento in cui gli ebrei hanno più diritti di qualsiasi altra religione. Questo è lo stato di Israele, basato sul modello di un'unica supremazia religiosa.


Quando si parla del conflitto israelo-palestinese, si parte dalla  “dichiarazione Balfour” del 2 novembre 1917. Quel giorno, con un testo di appena 67 parole, il governo inglese informò Lord Walter Rothschild, uno dei principali leader della comunità ebraica nel Paese, che vedeva “con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”. 

L’Assemblea generale dell’Onu, allo scopo di dare una patria a tutti gli ebrei dispersi nel mondo,

approvò un piano di partizione della Palestina. Lo Stato di Israele fu proclamato il 14 maggio 1948.

L’ anno dopo, gli ebrei   conquistavano un territorio più ampio di quello che il piano dell’Onu aveva loro assegnato: più di 700.000 arabi palestinesi abbandonarono città e villaggi o ne furono espulsi. Fu loro poi negato  ogni diritto al ritorno nelle proprie terre, sia durante sia al termine del conflitto.

I palestinesi commemorano ogni anno quella sconfitta nel giorno della ‘Nakba’ (catastrofe). Segui, nel  1956, la cosiddetta crisi di Suez fino alla Guerra dei sei giorni, 1967, che portò Israele a conquistare altri territori, compresa la Cisgiordania. Contrariamente a quanto era successo in precedenza, la comunità internazionale non riconobbe le conquiste territoriali, perciò, da allora, si parla di “territori occupati”.


Prima della creazione dello Stato d’Israele, il modello locale era basato sull'uguaglianza, ed è questo che la Palestina rappresenta ancora oggi per i suoi sostenitori.

Per quanto riguarda Hamas, è nato solo come reazione agli abusi commessi dai suprematisti ebrei sui palestinesi. Non esisteva prima delle prevaricazioni commesse e scomparirebbe completamente una volta ripristinati i diritti civili nella regione.


Questo è ciò che le persone di "destra" non riescono a capire o non vogliono capire: l'aspetto religioso del conflitto è stato creato dalla politica israeliana, e gruppi come Hamas sono solo una reazione al grave abuso dei diritti, in particolare sulla popolazione di Gaza, sottoposta a blocco e controllo da parte dei suoi carcerieri, che non può nemmeno avere un porto, un aeroporto, passaporti o libero scambio e viaggi!


Per comprendere le ragioni del conflitto occorre abbandonare l'inquadramento religioso e tornare all'equilibrio storico di pari diritti e giustizia per tutti. Guardare indietro a un modello di Palestina in cui la convivenza paritaria era all'ordine del giorno.

Naturalmente non c'è alcun incentivo a farlo da parte di coloro che traggono vantaggio dalla supremazia sugli altri, che distorcono sempre la realtà oggettiva per adattarla al proprio tornaconto materiale, presentandosi come vittime e negando di essere stati gli aggressori dal 1948.

Non si tratta semplicemente di stabilire se uguali diritti siano garantiti sotto il vessillo di Israele o della Palestina: devono tornare, indipendentemente dai colori della bandiera. 


Il conflitto non è "Israele contro Palestina", ma tra uguaglianza di diritti e giustizia, supremazia religiosa e sfruttamento.

venerdì 17 ottobre 2025

LETTERA DI UN’IMMIGRATA AFRICANA A SALVINI




Ho visto la sua faccia ieri sera, senatore, al telegiornale. Una faccia contratta, irrigidita dalla rabbia, dura come una pietra, dipinta dei colori della paura che non conosce vergogna. E la sua voce… la sua voce colava fiele. Ha detto che per noi, che siamo arrivati qui, in questa terra, è finita la pacchia. Che viviamo nel lusso, rubando il pane ai suoi cittadini. In quel momento, ho sentito di nuovo i morsi antichi, atroci, della paura.


Chi sono? Non importa il mio nome. Tanto, per lei, i nostri nomi non valgono nulla. Sono solo un numero, un’ombra, un’invasione. Sono una di quelle che lei chiama con disprezzo “clandestina”. Vengo dalla Nigeria, da un angolo dimenticato dal mondo, dove nessuno fa la pacchia. Nemmeno per sbaglio. Non sono scappata dal terrorismo di Boko Haram. La mia condanna non porta mitra, ma fame, povertà, silenzio, corruzione. Sono una profuga economica, come dite voi. Una che, secondo le sue leggi e le sue paure, non avrebbe alcun diritto di esistere qui.


Conosce il Delta del Niger? Non credo. Eppure ogni volta che sale in macchina, ogni volta che accende la luce, una parte di quella comodità viene da casa mia, da quella terra che voi avete saccheggiato con eleganza coloniale e mano invisibile. Io vivevo alla periferia di Port Harcourt, capitale di uno degli stati più ricchi di petrolio al mondo. Ma vivevo in una baracca, con mia madre e i miei fratelli. La sera, per avere un po’ di luce, accendevamo una candela. Una candela, senatore. Nel cuore dell’oro nero.


Vivere da noi è dura. Durissima. Un inferno, se sei donna. E io ero una ragazza. Una delle tante. Tutto costa. Anche l’illusione di sopravvivere. Le scuole pubbliche? Finte. Gli ospedali? Rovine. Se vuoi curarti, paghi. Se vuoi studiare, paghi. E se non hai soldi, semplicemente… muori lentamente.


La vedo già storcere il naso. Sta per dire che non sono affari suoi, vero? Ma lo sono. Eccome. Il mio paese dovrebbe essere ricchissimo. Ma il nostro petrolio non ci ha mai dato nulla. Ha arricchito solo pochi politici corrotti, i vostri alleati, e le multinazionali occidentali, anche italiane, anche sue. Il nostro futuro è stato barattato per qualche barile in più, in cambio di contratti osceni firmati da burattini al potere che rispondono solo alle compagnie petrolifere. E i soldi, quelli finivano nelle vostre banche, non nei nostri ospedali.


Si ricorda di Ken Saro-Wiwa? Poeta, attivista, ucciso perché chiedeva giustizia. È stato impiccato per aver alzato la voce. Il suo sangue, come quello di tanti altri, grida ancora sotto i vostri piedi, mentre camminate tranquilli nei vostri palazzi pieni di luce. Eni, Agip, le conosce bene, vero? Le stesse aziende accusate di aver versato montagne di soldi nei conti dei nostri carnefici. Soldi che avrebbero potuto cambiare la vita a milioni di persone. A me. A mia madre. A mio fratello. Forse, con quei soldi, avrei avuto una lampadina al posto di una candela. Forse sarei rimasta a casa mia.


Avrei fatto volentieri a meno della pacchia di attraversare un deserto, di essere derubata, picchiata, violentata, di essere venduta come carne da uomini che avevano in bocca la legge e nelle mani il fuoco. Avrei fatto a meno delle prigioni libiche, delle notti passate in piedi, del pane secco, dell’acqua putrida. Avrei fatto a meno delle urla di chi veniva torturato accanto a me. Avrei fatto a meno di tutto. Anche della vostra ospitalità.


Nel suo paese, senatore, troppe ragazze come me finiscono sui marciapiedi, strappate alla vita e offerte alla vostra fame di carne. La schiavitù non è finita. Ha solo cambiato volto. Io sono riuscita a fuggire, ma sono stata schiava nei vostri campi. Ho raccolto pomodori, arance, mele. In cambio di nulla. 

Di insulti. Di paura. Di umiliazioni. La pacchia l’avete fatta voi, sulle nostre schiene spezzate, sulle nostre vite svuotate, sui nostri sogni poveri, di una vita appena dignitosa.


Mi accorgo solo ora che non ho mai scritto il suo nome. Mi perdoni. È che mi fa paura. Paura vera. Lei ha la capacità di essere feroce solo con i deboli. Ma con i potenti, sorride sempre. Vuole che torniamo a casa nostra? Parli con chi ci ha rubato casa. Parli con i governi corrotti che sostenete, con le multinazionali che proteggete, con le banche che ingrassate. Se ha un briciolo di onestà, la sua faccia feroce la riservi a loro.


Noi, da soli, non possiamo più lottare contro tutto questo. E quando ci voltate le spalle, quando ci insultate, quando ci disumanizzate, non fate che schierarvi ancora una volta dalla parte del potere che ci ha condannati.


Da X:  @soumi_ds

INTELLIGENZA E FEDE. LE AREE PIÙ RELIGIOSE VOTANO DESTRA.




Sessantatré studi, raccolti in una grande meta-analisi internazionale -pubblicata nel 2013-, hanno mostrato una verità tanto semplice quanto scomoda: più cresce l'intelligenza, più cala la religiosità. La correlazione è chiara, statisticamente significativa, verificata su studenti universitari, adolescenti e adulti. Nei soggetti con maggiore formazione e capacità analitica, la fede tradizionale si affievolisce. Non per ostilità o arroganza, ma perché l'intelligenza spinge a dubitare, a verificare, a non accettare nulla come indiscutibile.

I ricercatori hanno osservato che l'effetto è più marcato tra studenti universitari e popolazione generale rispetto ai giovani sotto età accademica. Si può continuare a rispettare riti e tradizioni, ma l'adesione profonda ai dogmi si indebolisce man mano che il pensiero diventa più lucido.

Gli studiosi propongono tre spiegazioni principali. La prima è la minor tendenza al conformismo. Le persone più intelligenti, dotate di pensiero critico, resistono meglio alla pressione del gruppo e quindi alla necessità di credere come fanno gli altri. La seconda è lo stile cognitivo analitico, opposto a quello intuitivo: chi analizza e scompone il mondo nei suoi meccanismi tende a ridurre lo spazio del mistero e della fede cieca. La terza spiegazione è psicologica: molte delle funzioni adattive della religione (il bisogno di controllo, di autoregolazione, di autostima e di attaccamento sicuro) vengono soddisfatte anche dall'intelligenza stessa. Chi possiede risorse interiori, equilibrio e consapevolezza non ha bisogno di delegare a un potere superiore il senso di protezione.

Esistono, naturalmente, credenti che dubitano, che interrogano i dogmi, che fanno della fede un esercizio di profondità e non di pigrizia. Teologi brillanti, filosofi religiosi di prim'ordine, scienziati credenti. Questo studio non è indirizzato a loro. Si rivolge a chi usa la religione come scorciatoia per non pensare, come assicurazione contro l'incertezza del vivere. Si rivolge al bigottismo: quella degenerazione in cui la fede smette di essere scelta e diventa paura travestita da virtù.

Il bigotto non dubita, non esplora, non tollera. Trasforma la religione in dogma morale e la morale in arma politica. Mentre l'intelligenza invita alla complessità, il bigottismo offre semplificazioni: bene e male, dentro o fuori, fedele o nemico. È la forma più rassicurante di ignoranza perché non chiede di pensare, ma solo di obbedire.


Le conseguenze sociali sono visibili. In quasi tutti i paesi, la religiosità più intensa si concentra nelle comunità più esposte all'incertezza, nei contesti dove la vita è più dura e le opportunità più limitate. La religione diventa rifugio, identità, consolazione di fronte a un mondo che non sempre offre sicurezza o giustizia.

Ma è proprio su questa fragilità che prospera un certo tipo di politica. Non si tratta di dire che i credenti sono meno intelligenti. Si tratta di riconoscere che chi ha meno strumenti culturali, chi vive nell'incertezza economica, chi è stato lasciato indietro dal sistema, trova nella religione quella rete di sicurezza che lo Stato ha smesso di garantire. E la destra questo lo sa, lo coltiva, lo sfrutta. Non offre soluzioni reali, offre identità consolatorie e capri espiatori.

La strategia è antica quanto cinica: prima svuoti la società di sicurezze (precarietà, tagli al welfare, paura del diverso), poi ti offri come salvatore. Il leader forte sostituisce lo Stato, il nemico esterno sostituisce l'analisi dei problemi reali. E la religiosità popolare diventa il linguaggio perfetto per questo inganno: non chiede di capire, chiede di credere.

I dati elettorali lo mostrano con imbarazzante coerenza: le aree più religiose votano a destra, spesso a destra estrema. Non per convinzione ideologica, ma per lo stesso meccanismo che alimenta il conformismo religioso: bisogno di appartenenza, desiderio di protezione, delega dell'autonomia. Si vota il leader come si prega il santo, cercando in entrambi la promessa di ordine e di salvezza.

Lo mostrano bene le piazze dove sventolano bandiere nazionaliste accanto a 

rosari e crocifissi. 

Basta ascoltare i comizi dove si invoca Dio per giustificare la chiusura dei porti o l'esclusione del diverso; ascoltare i talk show dove il moralismo religioso diventa garanzia di "buonsenso" contro l'élite pensante. La religiosità popolare, quando diventa strumento politico, si trasforma in meccanismo di controllo.


La destra conservatrice incoraggia tutto ciò perché ne ha bisogno: il bigottismo è una forma di ordine, un argine contro la libertà individuale e la critica razionale. Più una società pensa, più diventa difficile da governare con slogan e paure. Meno una società pensa, più obbedisce.

Ecco perché questa destra teme le università, ridicolizza gli intellettuali, taglia i fondi alla cultura pubblica. Non è ideologia, è autoconservazione. Ogni persona che impara a pensare è un fedele in meno, un elettore che sfugge al controllo. L'ignoranza non è un effetto collaterale del loro modello: è il carburante. Ecco perché l'intelligenza è un atto sovversivo e il dubbio un peccato capitale per chi vuole consenso facile.

Non si tratta di schierarsi contro la spiritualità o di negare il valore che la fede può avere nella vita delle persone. Si tratta di smascherare l'uso politico della religione come strumento di sottomissione intellettuale. Nessuna fede può sostituire la responsabilità del pensiero. L'intelligenza non promette paradisi, ma offre la sola cosa che il conformismo religioso non può dare: la possibilità di scegliere, di sbagliare, di essere liberi.


Oggi che il moralismo religioso è tornato linguaggio politico, ora che le destre usano il crocifisso come vessillo di potere e il dogma come surrogato di cultura, difendere il pensiero critico non è un vezzo da intellettuali, è resistenza politica.

Ogni volta che rifiuti la semplificazione, che pretendi fatti invece di slogan, che scegli la complessità invece del conformismo, stai sottraendo consenso a chi governa con l'ignoranza. Pensare è resistere al conformismo dei templi e dei talk show, è difendere la dignità della ragione contro il rumore delle certezze preconfezionate.

Pensare è il vero atto di fede nel futuro. Non nei paradisi promessi, ma nella dignità umana di cercare risposte, di sopportare il dubbio, di non delegare la propria coscienza né a un pulpito né a un partito. È l'unica rivoluzione che nessuna chiesa e nessun regime possono davvero soffocare: quella che avviene, in silenzio, dentro una mente libera.

Pensare è l'unico voto che la destra non può comprare.



“Pensare è un atto di libertà. “

Da Timostene, una delle menti più brillanti di X

giovedì 16 ottobre 2025

PUBBLICIZZA IL LIBRO DEL FIGLIO SUI SOCIAL. L’ULTIMA SCORRETTEZZA DI TRUMP




L’ultima scorrettezza di Trump è stata quella di pubblicizzare sui social il libro del figlio. Rivolto ai follower ha scritto:

“Non dimenticarti di procurarti una copia del libro di mio figlio Eric, "UNDER SIEGE", che sta battendo ogni record. È un libro fenomenale, una lettura obbligata per tutti. Congratulazioni Eric, te lo meriti!!!”


Gli Standard di Condotta Etica per i dipendenti del potere esecutivo stabiliscono che un dipendente non può utilizzare la propria posizione o titolo governativo per promuovere alcun prodotto, servizio o impresa. 


Questo atto è indegno di uno stato democratico. È inappropriato per un presidente di uno dei regimi democratici più antichi e vasti sfruttare la propria posizione durante il servizio per fare promozioni commerciali a familiari, parenti o amici, anche se la legge non lo vieta esplicitamente.


MOTIVI. 

-Conflitto di interessi: usare la carica pubblica per ottenere un guadagno personale o familiare compromette l'equità e l'imparzialità.


-Abuso di potere: l'autorità del presidente esiste per servire il pubblico, non per promuovere interessi privati.


-Perdita di fiducia pubblica: i cittadini possono perdere fiducia nell'integrità del governo quando i funzionari confondono il confine tra dovere pubblico e beneficio personale.


4. Violazione della giustizia e dell'uguaglianza: non tutti i cittadini hanno pari accesso alla promozione commerciale, il che contraddice i principi di equità e pari opportunità.


5. Precedente negativo: costituisce un cattivo esempio per gli altri funzionari, normalizzando l'abuso di autorità.


6. Comportamento non etico: anche se non è illegale, viola gli standard etici fondamentali di integrità.


Quando una uomo diventa presidente, deve essere il presidente di tutti, servire tutti equamente, senza dedicare alcuna parte del suo servizio alla famiglia, agli amici o agli interessi personali.


Persino nei regimi autoritari, è raro che un dittatore osi promuovere i propri familiari, forse non è mai visto un caso del genere. 


Trump non ha ancora capito cosa significhi essere presidente o cosa comporti ricoprire una carica pubblica.

Oppure, non gli importa. Ha capito che il Partito Repubblicano era abbastanza avido da vendergli l'anima e che molti cittadini statunitensi sono poco intelligenti, ignoranti e creduloni. Trump ha preso potere e aumentato la sua ricchezza mentre gli agricoltori sono in bancarotta, i veterani sono senza lavoro, gli americani delle zone rurali hanno costi alimentari più alti, perdita di cibo e assistenza sanitaria e mancanza di crediti d'imposta, i lavoratori del commercio in diversi settori sono senza lavoro, i latinoamericani vengono deportati se sopravvivono alla detenzione.


Di questo tenore la maggior parte dei commenti: “Battere i record non cambia il fatto che tutta la tua famiglia abbia trasformato la truffa in un modello di business. Criptovalute false, libri scritti dall'intelligenza artificiale, guadagni politici: tutto venduto alle stesse pecore vulnerabili che hai tosato per anni. Non è un'eredità, è un circo.”

martedì 14 ottobre 2025

TRUMP: IL PERDONO PER I CRIMINI DI GUERRA TRA SIGARI E CHAMPAGNE






Quale pace? Trump firma un accordo, Netanyahu annuisce e all'improvviso droni, posti di blocco e insediamenti israeliani svaniscono nel nulla? Occorre assecondare questa farsa solo perché lusinga una certa visione politica?


Dov'è la soluzione dei due stati che i palestinesi hanno reclamato a gran voce, l'unico consenso internazionale riconosciuto come il minimo indispensabile per la giustizia? Il tanto decantato "piano" di cessate il fuoco di Trump accumula promesse e procedure, ma non offre ai palestinesi né confini riconosciuti né autodeterminazione, solo un vago "percorso" condizionale che si basa su altri anni di umiliazione e supervisione, il tutto mentre Israele espande apertamente gli insediamenti e afferma che non permetterà mai la nascita di un vero stato palestinese.


Si chiama questa "libertà" mentre Netanyahu, l'artefice di innumerevoli massacri e sfollamenti, rimane impunito, pavoneggiandosi sui palcoscenici mondiali,  mentre i corpi dei suoi ultimi massacri vengono ancora riesumati. Le istituzioni legali mondiali hanno ritenuto Israele e Netanyahu responsabili di crimini di guerra e persino di genocidio, eppure  il cosiddetto "Presidente della Pace" non chiede un tribunale, non esegue un singolo mandato d'arresto contro i maggiori responsabili della carneficina.

Abbiamo visto in diretta un Trump che si intromette nel sistema giudiziario di un altro Paese come se fosse uno dei suoi hotel in bancarotta. 

Per lui conta di più un  “perdono” per i crimini di guerra, tra sigari e champagne.

La diplomazia in sintesi: prima i criminali, poi l'umanità.

Questa non è diplomazia, è l'élite che si dà pacche sulle spalle a vicenda, mentre la gente comune ne paga il prezzo.


Dov'è l'effettiva restituzione delle terre rubate sia a Gaza che in Cisgiordania, mentre bulldozer e coloni israeliani inghiottono interi villaggi palestinesi con impunità burocratica e marziale? La registrazione israeliana delle terre non sta regredendo, ma avanzando, legalizzando l'annessione e privando le autorità palestinesi dei diritti amministrativi. 


I coloni che hanno sparato, molestato e espropriato restano impuniti, alcuni sono stati ripresi in un video solo poche settimane fa mentre rubavano case e terreni agricoli: ora sono in prigione o stanno semplicemente incassando i loro profitti?


Dov'è la giustizia per le centinaia di innocenti assassinati dai cecchini mentre cercavano pane o fuggivano dai bombardamenti di quegli F-16 finanziati dagli americani? Le macerie di Gaza non sono una metafora: sono cemento, polvere e le ossa di intere famiglie lasciate insepolte perché i "liberatori" le hanno ritenute sacrificabili. Chi risponderà di questo? Dov'è, in questa "pace", anche la più elementare giustizia per questi crimini di guerra mascherati da operazioni di sicurezza?


Anche adesso, sotto la sottile patina del cessate il fuoco, gli abitanti di Gaza fanno la fila per l'acqua, muoiono per mancanza di medicine e sono sorvegliati da volti stranieri. La Cisgiordania rimane una scacchiera per l'espansione israeliana e la violenza dei coloni, mentre i cosiddetti "leader" dichiarano che non ci sarà mai uno Stato palestinese.


Sommergendo di slogan l’opinione pubblica, si cerca anche di denigrare o prendere in giro chi chiede dignità per i palestinesi

Non si risponde, invece, a queste domande essenziali.  L’applauso alla "pace" è un assenso all’incertezza, magari, alla menzogna .

Ma il mondo non si lascia ingannare da strette di mano artificiose o comunicati stampa affettati. La giustizia non è un esercizio di branding e la liberazione non arriva attraverso la propaganda.


Ogni città, da Sydney a Parigi, ogni strada dal Cairo a New York, è ancora piena di persone perbene, persone che vedono oltre le bugie e non sono disposte a lasciare che i fantasmi di Gaza e della Cisgiordania vengano dimenticati.


Gli attivisti, la parte migliore dell'umanità, non se ne sono andati. 

La parte perbene dell'umanità, continuerà a riversare energie nelle strade, nelle città e nei paesi, chiedendo giustizia per i palestinesi e insistendo per un nuovo processo di Norimberga per Netanyahu e il suo governo.


La perbene del mondo, non accetterà di essere messa a tacere, né ora né mai.


Le voci degli attivisti risuoneranno più forti e più a lungo, invocando vera giustizia, vera libertà, finché l'ultimo muro della prigione non cadrà e l'ultima ferita non sarà guarita.