Khalifa Haftar passa all’atto e decide di prendersi la Libia. Irrompere nella capitale è finalmente, per il Generale, un traguardo raggiungibile: ora che la popolazione, stremata dai disordini, desidera soltanto un salvatore, ora che i capi delle milizie non sembrano assolutamente propensi ad impegnarsi in pericolosi combattimenti.
È facile immaginare che Haftar conti di portare dalla propria parte molti gruppi armati della capitale. La situazione è tale da escludere uno scontro ideologico. Alla “fede”, semmai, si ispirano solo alcuni miliziani salafiti, seguaci di un predicatore saudita, che militano nell’esercito del Generale.

Haftar è sostenuto economicamente dagli Emirati Arabi Uniti, supportato,forse,dai sauditi e dai russi attraverso i mercenari del gruppo Wagner presenti in territorio libico. Può contare, inoltre, sull’appoggio politico e d’intelligence dei francesi.
Evidentemente, non su quello degli Stati Uniti dell’era Trump, molto defilati e indifferenti nei confronti di eventi che non riguardino direttamente l’America. Non su quello delle Nazioni Unite o della comunità internazionale che, sia pur sommessamente, appoggiano Fayez al Sarraj, premier del governo di Tripoli riconosciuto dalla comunità internazionale dopo l'accordo di pace del dicembre 2015.
Non su quello dell'Unione Europea che, senza nemmeno nominare i co-protagonisti della difficile situazione libica, si rivolge a "tutte le parti coinvolte" invitandole ad evitare un'evoluzione violenta della crisi. Le milizie hanno ormai capito che alla Libia, come a tutto il Nord Africa, convenga appoggiarsi ai paesi del Golfo
Il Generale Haftar, ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore del Governo cirenaico di Tobruk, non ha al momento a disposizione una forza militare in grado di sopraffare militarmente la capitale; ma soprattutto, se vuole assicurarsi legittimità, interna e internazionale, non può far degenerare la crisi in un bagno di sangue. E con Misurata, citta-stato che difende Tripoli, l’ingresso del Generale non potrebbe passare se non attraverso azioni violente.
Secondo alcuni osservatori l'avanzata verso la capitale costituirebbe una sorta di bluff per capire chi è disposto ad appoggiarlo.
Haftar ha combattuto per anni prima di liberare Bengasi, ha già subito le prime perdite solamente affacciandosi ai sobborghi di Tripoli. Possibile allora che le trattative ufficiose continuino, cosi come la propaganda che lo indica come “liberatore dalle forze terroristiche”? Il supporto internazionale e il clima di generale pacificazione lo favoriscono nel medio e lungo periodo. La sua credibilità si gioca tutta in queste ore.
E ammesso che riesca a conquistare il potere a Tripoli, quanto tempo avrebbe a disposizione per riorganizzare un paese nel caos, privo ormai di una qualunque istituzione cui appoggiarsi per ricominciare? Haftar ha 75 anni, e dopo il suo recente ricovero a Parigi non circolano voci confortanti sulla sua salute.
D.Bart.
Nessun commento:
Posta un commento
Se volete lasciate un commento...