YEMEN. 18 febbraio 2019- Dopo il round negoziale in Svezia tra ribelli Houthi e governo yemenita, le due parti hanno raggiunto ieri un accordo sulla città di Hodeidah: si ritireranno lasciando il controllo della città portuale sul Mar Rosso alle Nazioni Unite. È la prima fase del ridispiegamento congiunto delle forze armate.
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Il porto di Hodeidah dopo un raid saudita (Foto: Yemen Press) |
Oltre al porto di Hodeidah, il movimento Houthi e le forze governative e pro-governative
dovranno abbandonare i porti di Salerà e Ras Isa e le periferie della città. Sono passati due mesi esatti dal cessate il fuoco del 18 dicembre scorso. Una tregua per lo più rispettata, rotta da alcuni scontri tra le due parti mai degenerati in un nuovo conflitto.
dovranno abbandonare i porti di Salerà e Ras Isa e le periferie della città. Sono passati due mesi esatti dal cessate il fuoco del 18 dicembre scorso. Una tregua per lo più rispettata, rotta da alcuni scontri tra le due parti mai degenerati in un nuovo conflitto.
La popolazione può tornare, quantomeno, a sperare; perché Hodeidah ha un’importanza fondamentale per i civili: secondo porto del paese dopo Aden, è il primo punto di accesso degli aiuti umanitari in arrivo in Yemen. Circa il 70% del soccorso entra da questo scalo, anche se si tratta di un supporto comunque insufficiente a far fronte alla più dura crisi umanitaria della regione. Il blocco imposto dai Sauditi via terra e via aria impedisce l’arrivo sistematico dei cargo delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali, e ciò che entra non può bastare ad una popolazione di 28 milioni di persone, l’80% delle quali sopravvive solo grazie ad aiuti esterni.
Toccherà poi alla fase 2 predisporre l’intero ridispiegamento delle forze armate quando anche i combattenti dovrebbero essere posti sotto il controllo delle Nazioni Unite. I dettagli della demilitarizzazione e del ridispiegamento non sono noti. Si tratta della parte più complessa e difficile perché andrà a pesare sugli attuali equilibri della città portuale. Ma la strada verso un dialogo politico reale non può prescindere da questa fase.
L’emergenza umanitaria resta comunque il primo problema da affrontare. Quattro anni di guerra a guida saudita contro lo Yemen hanno ridotto i due terzi della popolazione civile ad una sorta di sopravvivenza in pre-carestia ed un terzo in condizioni di estrema vulnerabilità. 24 milioni di persone, invocano una qualche forma di assistenza umanitaria o di protezione, 14,3 milioni tra queste hanno bisogno di un soccorso immediato.
Basta? Neanche per sogno! I paesi che hanno voluto la guerra, che la conducono e la perseguono dal marzo 2015, al di fuori d’ogni principio di legalità internazionale, continuano ad armarsi. Ad Abu Dhabi, dove è in corso la fiera militare, gli Emirati Arabi hanno siglato contratti di acquisto di armi per un valore totale di 1,3 miliardi di dollari. Tra i prodotti in mostra sono presenti anche molti armamenti già impiegati in Yemen: armi automatiche, carri armati, veicoli blindati. Abu Dhabi ha firmato inoltre un accordo di vendita da 335 milioni di dollari con la statunitense Raytheon Co. of Waltham per missili Patriot terra-aria.
La commissione per le relazioni internazionali dalla Camera dei Lord britannica ha duramente condannato nei giorni scorsi la vendita di armi da parte di Londra all’Arabia Saudita. Per la prima volta l’esportazione militare verso Riyadh è stata definita “illegale”: il governo è accusato di non aver mai condotto un’indagine indipendente sull’uso che di quelle armi viene fatto in Yemen. Si parla e si tratta di stragi di civili -uomini donne bambini- , di distruzione e attacchi sistematici contro infrastrutture, scuole, cliniche, case.
(D.Bart.)
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