domenica 13 agosto 2017

RIFUGIATI E UMANITÀ VIOLATA. RIPARTE LA STAGIONE BUIA DEI RESPINGIMENTI?

Per contrastare l’arrivo dei rifugiati dalla Libia il Governo italiano corre il rischio di commettere gravissime violazioni del diritto internazionale. E ciò significherebbe ripiombare nella la stagione buia dei respingimenti per i quali l’Italia era stata già condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo.

È il presagio espresso dall’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione), che ha voluto dire la sua  sulle imperfezioni  della linea politica nell’ area del Mediterraneo intrapresa dal Governo italiano con il governo libico guidato da Al-Serraj. L'uomo rappresenta infatti un’autorità pressoché illegittima, se si tiene conto della  scarsa competenza effettiva che ha sull'intero territorio, nonostante abbia ottenuto legittimazione internazionale.

Appare perciò ingiusto, sbagliato destinare ingenti risorse dello Stato italiano (e quindi dei cittadini) per il sostegno di formazioni libiche in un territorio che esse non controllano completamente e dove non è possibile fare alcuna reale distinzione tra i diversi responsabili delle violenze che vengono inflitte alle popolazioni in fuga: sia dalle diverse milizie armate che dalle sedicenti autorità governative.

In Libia non esiste attualmente alcun sistema giuridico in grado di garantire un’azione penale indipendente verso i presunti trafficanti di esseri umani,
né per tutelare i fondamentali diritti dei più sfortunati.
Anzi, secondo una lettera di esperti dell’ONU, il Dipartimento di Contrasto all’Immigrazione Illegale e la Guardia Costiera sono direttamente coinvolti in gravissime violazioni di tali diritti.

Il rinvio in Libia dei migranti, pertanto, violerebbe le convenzioni internazionali sul soccorso in mare in quanto nessun porto libico può attualmente essere considerato “luogo sicuro” ai sensi della Convenzione per la ricerca e il soccorso in mare del 1979 (SAR), perché  la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita risulta  minacciata, mancando le condizioni minime di accesso ai diritti fondamentali necessari .

Le gravissime violenze perpetrate nei campi libici: le torture con scariche elettriche, i pestaggi, gli stupri sulle donne scandiscono una routin dell'orrore testimoniata e documentata da innumerevoli rapporti autorevoli e indipendenti. È possibile che tutto ciò non sia ancora arrivato alla conoscenza del nostro Governo né al Ministro dell’Interno?
No, certo! Tanto che il Ministro della Giustizia italiano, considerata la gravità dei fatti, ha dovuto  decidere di far celebrare in Italia i procedimenti a carico degli autori delle violenze.
In un procedinento che si sta celebrando presso la Corte d’assise di Milano, e nel quale ASGI è costituita parte civile, la stessa Pubblica accusa ha fatto emergere un quadro di inaudita crudeltà: violenze sessuali ripetute, omicidi di coloro che non ricevono dai familiari il denaro richiesto dai trafficanti, torture, e persino l' esposizione dei corpi dei morti dopo le torture per ottenere un effetto deterrente.

ASGI dice pertanto che :
– Agire a sostegno dell’attuale provvisorio Governo libico, sostenendo azioni che hanno come obiettivo, o comunque come effetto, quello di riportare in detto Paese i migranti che da esso stanno fuggendo costituirebbe una scelta inaudita da parte di un Paese avente un solido ordinamento democratico, nonché membro della UE.

– Partecipare attivamente, con propri mezzi e uomini, ad operazioni condotte dentro o fuori dalle acque libiche, finalizzate a respingere i migranti e a ricondurli in Libia, configurerebbe la responsabilità internazionale dell’Italia per violazione del divieto di refoulement (art. 33 Conv. di Ginevra) e degli analoghi obblighi derivanti dalla CEDU.

– Nessuna operazione di contrasto al traffico può quindi essere condotta dalle autorità libiche da sole o in collaborazione con quelle italiane o di qualunque altro Paese, senza che venga parallelamente garantita la sicurezza e i diritti delle persone coinvolte nel traffico, ovvero il loro trasporto in un luogo sicuro dove siano protetti dal rischio di tortura e dove, se lo richiedono, possono accedere alla protezione internazionale.

D.Bart

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