venerdì 25 agosto 2017

Le truppe irachene e le milizie sciite vicine al centro di Tal Afar, ultimo baluardo dello Stato islamico nell'Iraq settentrionale


Le truppe irachene e le milizie   supportate da Usa ed Iran sono ormai vicine al centro di Tal Afar, l'ultimo baluardo dello Stato islamico nell' Iraq settentrionale e linea diretta di comunicazione con la Siria.

Penetrate le linee difensive, le
le forze di Baghdad puntano alla sconfitta definitiva e totale del gruppo jihadista, ma in città i 30.000 civili intrappolati potrebbero essere utilizzati come scudi umani.

I carri armati dell'esercito e delle milizie Hashd a Shaabi sono entrati nel quartiere di Al Nur, sud-est della città, mentre gli aerei attaccavano diverse posizioni strategiche indicate dalle forze della coalizione.

I jihadisti ostacolano l'avanzata bloccando le strade principali con autocarri e cumuli di sabbia , mentre i cecchini sparano sulla fanteria.

Lunedi, le forze paramilitari Hashd a Shaabi, note anche come unità di mobilitazione popolare, hanno annunciato di aver ripreso il controllo dei distretti militari e di polizia di Al Kifah Al Askari.

Truppe e blindati "sono entrati ad Al Kifah Nord, e sono diretti verso il centro della città ", ha dichiarato ufficialmente Ahmed al Asadi, portavoce di Hashd a Shaabi. "Tutte le linee di difesa ISIS intorno alla città sono state penetrate e le truppe avanzando da ogni direzione verso i quartieri interni.

Tuttavia, il fuoco dei cecchini jihadisti, supportato da attentati suicidi ed autobombe, sta infliggendo gravi perdite e danni alle forze irachene, costringendo la fanteria a rallentare la loro avanzata.
La stessa tattica era stata messa in atto durante la riconquista di Mosul.
Le forze irachene hanno anche scoperto una rete di tunnel utilizzati dai jihadisti per sorprendere le truppe.

Il dramma dei civili

Per evitare attacchi a sorpresa, soprattutto di notte, le forze di coalizione hanno distribuito volantini  invitando i residenti a segnare le proprie case.
Si calcola che a Tal Afar siano bloccate 30.000 persone costrette incessantemente a subire,  dal cielo, gli attacchi dagli  aerei iracheni e, da terra, l' intenso fuoco d' artiglieria.
Ulteriore rischio per i cittadini di Tal Afar è quello di essere utilizzati come scudi umani. Lo ha più volte denunciato  il portavoce dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Stéphane Dujarric.

ONU e ONG umanitarie stanno organizzando  l'installazione di luoghi di accoglienza per gli sfollati in fuga. Nelle aree desertiche ad alte temperature, dove si raggiungo in media 43 ° C, a volte per più di 10 ore, il rischio di grave disidratazione è altissimo.

Ma la battaglia di Tal Afar è una tappa troppo importante. nell'offensiva di riconquista antiyihadista.
Nel 2014, dopo una serie di attacchi lampo, l'ISIS aveva conquistato un terzo dell'Iraq.

Riprendere Tal Afar, a circa 60 chilometri dal confine con la Siria, renderà più difficile il transito di uomini e di armi tra i due paesi.
L'offensiva, nonostante gli ostacoli posti dai cecchini, progredisce rapidamente rispetto a quella di Mosul,  che aveva richiesto otto mesi e 23 giorni di combattimenti, strada per strada.
Vinta questa campagna, ISIS manterrà solo due regioni del paese: Hawija, nel sud, dove Baghdad sta preparando un nuovo attacco, e una parte di Al Anbar, provincia scarsamente popolata, in pieno deserto, al confine con la Siria.

D.Bart.

domenica 20 agosto 2017

IRAQ: DOPO MOSUL, ESERCITO IN AZIONE PER LA RICONQUISTA DI TAL AFAR

"Arrendersi o morire": l'alternativa che le forze irachene hanno offerto ai jihadisti annunciava, terrificante, l'offensiva  scattata nella notte per la riconquista di Tal Afar, una delle ultime città del paese ancora nelle mani dello Stato islamico.

Per consentire l'operazione di terra,aerei militari iracheni hanno bombardato le posizioni dei jihasisti in città per diversi giorni. La popolazione civile era avvertita con i volantini.

"IL MONDO INTERO È CON VOI": così il primo ministro Haider al-Abadi ha incitato le truppe al combattimento che promette una vittoria senza sconti.
“Sto dicendo a Daesh che non c’è altra scelta se non arrendersi o morire”, ha detto il presidente Abadi quando, vestito in uniforme militare nera, in piedi davanti a una bandiera irachena e ad una mappa del paese, ha annunciato “l’inizio dell’operazione per liberare Tal Afar”.

L’operazione sarà supportata dalle truppe americane.
“La coalizione è forte e pienamente impegnata a sostenere i nostri partner iracheni finché l’Isis non sarà sconfitto e il popolo iracheno non tornerà libero”, ha dichiarato il generale statunitense Stephen Townsend aprendo l'operazione.

L'offensiva di Tal Afar segue a stretto giro la riconquista di Mosul, la principale roccaforte dell’Isis, avvenuta lo scorso nel mese di luglio.

Tal Afar, che ha una popolazione prevalentemente sciita, era caduta nelle mani dell’Isis nel 2014. È situata sulla strada tra Mosul e il confine siriano, quindi via strategica di approvvigionamento per il gruppo jihadista.

I calcoli della coalizione anti-Isis circa il numero di persone attualmente presenti all'interno di Tal Afar o nelle sue immediate vicinanze sono assai approssimativi: dai 50mila ai 100mila civili.

Oltre a Tal Afar, l’Isis controlla ancora le terre tra Ana e Al-Qaim nella valle dell' Eufrate, e tutto il territorio intorno a Hawija.

D.Bart.

domenica 13 agosto 2017

RIFUGIATI E UMANITÀ VIOLATA. RIPARTE LA STAGIONE BUIA DEI RESPINGIMENTI?

Per contrastare l’arrivo dei rifugiati dalla Libia il Governo italiano corre il rischio di commettere gravissime violazioni del diritto internazionale. E ciò significherebbe ripiombare nella la stagione buia dei respingimenti per i quali l’Italia era stata già condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo.

È il presagio espresso dall’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione), che ha voluto dire la sua  sulle imperfezioni  della linea politica nell’ area del Mediterraneo intrapresa dal Governo italiano con il governo libico guidato da Al-Serraj. L'uomo rappresenta infatti un’autorità pressoché illegittima, se si tiene conto della  scarsa competenza effettiva che ha sull'intero territorio, nonostante abbia ottenuto legittimazione internazionale.

Appare perciò ingiusto, sbagliato destinare ingenti risorse dello Stato italiano (e quindi dei cittadini) per il sostegno di formazioni libiche in un territorio che esse non controllano completamente e dove non è possibile fare alcuna reale distinzione tra i diversi responsabili delle violenze che vengono inflitte alle popolazioni in fuga: sia dalle diverse milizie armate che dalle sedicenti autorità governative.

In Libia non esiste attualmente alcun sistema giuridico in grado di garantire un’azione penale indipendente verso i presunti trafficanti di esseri umani,
né per tutelare i fondamentali diritti dei più sfortunati.
Anzi, secondo una lettera di esperti dell’ONU, il Dipartimento di Contrasto all’Immigrazione Illegale e la Guardia Costiera sono direttamente coinvolti in gravissime violazioni di tali diritti.

Il rinvio in Libia dei migranti, pertanto, violerebbe le convenzioni internazionali sul soccorso in mare in quanto nessun porto libico può attualmente essere considerato “luogo sicuro” ai sensi della Convenzione per la ricerca e il soccorso in mare del 1979 (SAR), perché  la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita risulta  minacciata, mancando le condizioni minime di accesso ai diritti fondamentali necessari .

Le gravissime violenze perpetrate nei campi libici: le torture con scariche elettriche, i pestaggi, gli stupri sulle donne scandiscono una routin dell'orrore testimoniata e documentata da innumerevoli rapporti autorevoli e indipendenti. È possibile che tutto ciò non sia ancora arrivato alla conoscenza del nostro Governo né al Ministro dell’Interno?
No, certo! Tanto che il Ministro della Giustizia italiano, considerata la gravità dei fatti, ha dovuto  decidere di far celebrare in Italia i procedimenti a carico degli autori delle violenze.
In un procedinento che si sta celebrando presso la Corte d’assise di Milano, e nel quale ASGI è costituita parte civile, la stessa Pubblica accusa ha fatto emergere un quadro di inaudita crudeltà: violenze sessuali ripetute, omicidi di coloro che non ricevono dai familiari il denaro richiesto dai trafficanti, torture, e persino l' esposizione dei corpi dei morti dopo le torture per ottenere un effetto deterrente.

ASGI dice pertanto che :
– Agire a sostegno dell’attuale provvisorio Governo libico, sostenendo azioni che hanno come obiettivo, o comunque come effetto, quello di riportare in detto Paese i migranti che da esso stanno fuggendo costituirebbe una scelta inaudita da parte di un Paese avente un solido ordinamento democratico, nonché membro della UE.

– Partecipare attivamente, con propri mezzi e uomini, ad operazioni condotte dentro o fuori dalle acque libiche, finalizzate a respingere i migranti e a ricondurli in Libia, configurerebbe la responsabilità internazionale dell’Italia per violazione del divieto di refoulement (art. 33 Conv. di Ginevra) e degli analoghi obblighi derivanti dalla CEDU.

– Nessuna operazione di contrasto al traffico può quindi essere condotta dalle autorità libiche da sole o in collaborazione con quelle italiane o di qualunque altro Paese, senza che venga parallelamente garantita la sicurezza e i diritti delle persone coinvolte nel traffico, ovvero il loro trasporto in un luogo sicuro dove siano protetti dal rischio di tortura e dove, se lo richiedono, possono accedere alla protezione internazionale.

D.Bart

SIRIA. 11 milioni di profughi. Costretti a fuggire ancora i pochi tornati a casa


Oltre 600.000 siriani fuggiti  agli inizi della guerra civile hanno fatto ritorno alle proprie case; per contro, altri circa 800.000 sono stati costretti a scappare a causa di nuovi combattimenti: per alcuni è la seconda o terza volta.

La situazione dei profughi, secondo il rapporto appena diffuso dall'Oim, (Organizzazione internazionale per le migrazioni dell'Onu), rimane drammatica. In un Paese che all'inizio del conflitto, nel 2011, contava 22 milioni di abitanti, oltre 6 milioni rimangono sfollati all'interno dei confini e quasi 5 milioni all'estero, per la maggior parte in Turchia, Libano e Giordania e, in misura minore, in Iraq ed Egitto.

L'84% di coloro che hanno potuto fare ritorno nei luoghi di origine erano sfollati interni, solo il 16% è rientrato
dall'estero. Si tratta, almeno per la metà, di cittadini della provincia di Aleppo, come già si era visto nel 2016, quando i ritorni erano stati 686.000 durante tutto l'arco dell'anno. Anche allora, però, in 42.000 furono costretti a ripartire per sottrarsi alla furia dei combattimenti.

Il presidente Tayyip Recep Erdogan ribadisce oggi che le autorità turche consentono il passaggio dal loro territorio di aiuti umanitari, cibo e materiali utili alla ricostruzione edile nella regione siriana nord-occidentale di Idlib, fuori dal controllo delle forze di Damasco.

Parlando al termine della preghiera comunitaria del venerdì, Erdogan ha ripetuto che la Turchia non consente l'invio in Siria di armamenti. L'area di Idlib è in parte controllata da miliziani qaedisti, che alla fine di luglio sono riusciti a cacciare dalla zona i loro rivali jihadisti del gruppo di Ahrar ash Sham. Durante gli scontri la Turchia aveva chiuso la frontiera.