Vladimir Putin ha annunciato che il governo siriano di Bashar Assad e i rappresentanti dell’opposizione hanno firmato un accordo per un cessate il fuoco esteso a tutto il Paese - con l’esclusione delle zone in mano a terroristi come l’Isis - a partire dalla mezzanotte del 30 dicembre. Dell’intesa saranno garanti Mosca, Ankara e Teheran. L’avvio di negoziati di pace - previsti per metà gennaio in Kazakhstan - darà a Mosca, la possibilità di avviare il ritiro di una parte delle proprie forze in Siria.
Si confermano così gli impegni presi dalla “trojka”, partita la settimana scorsa da Mosca con l’impegno di trovare una soluzione alla crisi siriana. Con Vladimir Putin determinato ad assumere il ruolo-guida dell’operazione. Il presidente russo ha trascorso la mattina al telefono con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e con il premier greco per iniziare a consolidare il sostegno ai negoziati di Astana.
Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, aveva già dichiarato che l’intesa a cui stanno lavorando russi e turchi prevede che tutti i foreign fighters presenti lascino la Siria, comprese le milizie sciite libanesi di Hezbollah, impegnate contro i ribelli dell’opposizione. E questo è un primo ostacolo che difficilmente Teheran accetterà di superare.
«Siamo a un passo da un accordo con la Russia - ha detto Cavusoglu -. Se tutto va bene, lo faremo. Russia e Turchia saranno garanti dell’intesa definita ad Ankara. Non c’è nulla di sicuro sull’adesione dell’Iran come garante».
Un secondo probabile ostacolo nasce dal ruolo di Assad, del quale la Turchia ha sempre chiesto l’uscita di scena. La Dichiarazione di Mosca fa presupporre una graduale transizione, un futuro cambio della guardia a Damasco con un esponente del clan alawuita di Assad, meno controverso dell’attuale presidente. Un compromesso tra i tanti necessari che richiede in questo caso, da parte della Turchia, una flessibilità tutt'altro che scontata.
giovedì 29 dicembre 2016
Confermato cessate il fuoco in Siria, negoziati ad Astana
mercoledì 28 dicembre 2016
SIRIA. La guerra non è finita. Bombe da Assad contro ribelli e civili
Raffiche di mitra e bombe da Assad contro i ribelli e civili
Il villaggio siriano di Wadi Barada in mano ai ribelli, è stato attaccato con l'artiglieria pesante: Al Jazeera riferisce di almeno 14 civili uccisi negli attacchi; i 'Caschi Bianchi', (volontari di soccorso) denunciano che molti altri sono tuttora intrappolati sotto le macerie.
Fonte youreporter
lunedì 26 dicembre 2016
La parabola vittoriana di George Michael
Eppure in quegli anni grigi il pop inglese più disimpegnato, colorato e teen era in stato di grazia. Duran Duran, Spandau Ballet e Culture Club dominavano il mercato e influenzavano i gusti estetici, musicali e sessuali di una generazione. Gli Wham! tra il 1983 e il 1985 sono stati i migliori di tutti. I più sgargianti, i più sorridenti, i più pop. A cominciare dal nome che sembrava schizzato fuori da un dipinto di Roy Lichtentstein.
Gli Wham! erano essenzialmente George Michael, un giovane cantante di origine greca che sembrava nato già famoso. Un sorriso bianchissimo, un fisico atletico ed eternamente abbronzato, capelli baciati da méches che lo facevano sembrare appena tornato da una giornata in barca. I video degli Wham! di quegli anni erano un’eterna vacanza, l’incarnazione dell’edonismo disperato degli anni ottanta, spesso in precario equilibrio tra soft porno gay e Il tempo delle mele.
È stato uno psicodramma pop perfettamente orchestrato: ragazzine in lacrime che minacciavano il suicidio, tonnellate di lettere, quintali di peluche, appelli, scioperi della fame. Dopo gli Wham! qualunque altra boyband ha avuto il dovere di mettere in scena il rituale mediatico dello scioglimento.
George Michael aveva già avuto un grande successo solista con la ballata Careless whisper del 1984, che, sebbene fosse stata scritta insieme a Andrew Ridgeley, l’altra metà degli Wham!, uscì come un singolo di George. Nel 1986, poco prima dell’annuncio dello scioglimento, era anche uscita la malinconica ballata A different corner.
Le lacrime dei fan hanno fatto in tempo ad asciugarsi con la velocità con cui si asciugavano i pennarelli Uni Posca sui loro diari: all’inizio del 1987 la carriera solista di George Michael cominciò con un botto: un duetto con Aretha Franklin. I knew you were waiting lo proiettò in una dimensione diversa: un rhythm n blues sempre molto pop ma più sofisticato e adulto. E la presenza di Aretha era praticamente una bolla papale.

La canzone è un disco funk muscolare e sudato che sembra uscito da una discoteca gay della fine degli anni settanta. E il testo è stupendamente ironico: “Sono stufo del divano, del letto e anche del tavolo della cucina… facciamolo fuori, all’aria aperta”. Giocando sul doppio senso di “outside” come “en plein air” e come fuori dal proverbiale “closet”, l’armadio dentro cui i gay possono arrivare a nascondersi per una vita intera. Alla fine di un video che gioca con immagini di esibizionismo, pornografia anni settanta e videosorveglianza, due poliziotti che credono di non essere spiati si baciano appassionatamente.
Le lenzuola di raso, le giarrettiere e la caricatura di eterosessualità di I want your sex sembrano un ricordo lontano. Con Outside George Michael riprese in mano la sua carriera, la sua musica e la sua sessualità. I tabloid inglesi però non hanno mollato l’osso: il suo successo intermittente e le sue abitudini sessuali (fu beccato a rimorchiare in un gabinetto pubblico una seconda volta a Londra) erano materie troppo appetitose. Più passava il tempo e più George Michael continuava a essere dipinto come una ex popstar in decadenza, divorato da vizi, alcol e droga.
Lui, dal canto suo, poteva rispondere solo in due modi, con la musica e con interviste oneste al punto dell’autolesionismo. Il Guardian ha ricostruito i retroscena di due memorabili interviste che George Michael aveva rilasciato a Simon Hattenstone.
È raro sentir parlare una celebrità di quel livello con una tale lucidità e una tale libertà di se stesso. Il sesso promiscuo? Gli piace, gli è sempre piaciuto e gli continuerà a piacere. È un problema per qualcuno? Le droghe? George ne parla apertamente. Il suo ufficio stampa era disperato ma alla fine George Michael ne uscì a testa alta.
Tra i tweet che lo hanno ricordato nel giorno della sua scomparsa il più condivisibile è stato quello dello scrittore inglese Hari Kunzru: “Possiamo smettere di ricordare che era ‘apertamente gay’ e che era ‘turbato’? Se era turbato lo era solo per colpa di tabloid omofobi e pruriginosi”.
C’è qualcosa di vittoriano nell’umiliazione mediatica che ha subito George Michael ed è importante ricordare che anche in tempi molto vicini a noi c’è stata un’opinione pubblica bigotta e crudele pronta allo sberleffo e alla lapidazione pubblica di un uomo per le sue abitudini sessuali. E questa opinione pubblica esiste ancora. Anzi, la sua voce rischia di diventare sempre più forte. È doppiamente importante quindi ricordare oggi George Michael per la sua musica, per la sua voce e per il suo coraggio.
venerdì 23 dicembre 2016
L’attentatore di Berlino Anis Amri ucciso dalla polizia a Milano
Anis Amri è morto durante un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine italiane in piazza I Maggio a Sesto San Giovanni. La polizia lo aveva fermato per un controllo stradale verso le 3 di notte.
Il governo italiano conferma che Anis Amri è morto.
La conferenza stampa di Marco Minniti
Chi era Anis Amri
Anis Amri aveva 24 anni ed era nato in Tunisia. La sua carta d’identità e le sue impronte digitali erano state trovate dentro il camion usato per colpire il mercatino natalizio di Berlino. La polizia aveva diffuso il suo identikit e lo riteneva il responsabile della strage.
L’uomo negli ultimi mesi avrebbe assunto sei identità differenti. Da gennaio era sotto osservazione da parte delle autorità perché potenzialmente capace di “gravi atti di violenza contro lo stato”. Anche le sue comunicazioni erano sotto controllo.
Nel 2011, secondo fonti investigative italiane, Anis Amri ha scontato quattro anni di carcere nel carcere Ucciardone di Palermo per aver appiccato un incendio in una scuola. Dopo aver scontato la condanna avrebbe dovuto essere espulso, ma la Tunisia non ha collaborato fornendo il riconoscimento ufficiale, e ad Anis Amri è stato semplicemente intimato di lasciare l’Italia.
Anis Amri sarebbe arrivato in Germania nel giugno 2015, soggiornando prima nella Renania Settentrionale-Vestfalia e in seguito a Berlino. Anis Amri, secondo i giornali tedeschi, figurava in una lista delle 550 persone considerate pericolose dalle forze dell’ordine ed era sospettato di preparare un attentato. Citando una fonte vicina all’inchiesta, la Süddeutsche Zeitung ha scritto: “Ci sono molte persone pericolose nel paese, ma di pericolose come lui ce ne sono pochissime”.
A giugno Anis Amri aveva fatto richiesta d’asilo in Germania, ma la richiesta era stata respinta perché non aveva i documenti necessari. Amri, secondo la stampa tedesca, ha legami con Ahmad Abdelaziz A., noto come Abu Walaa, un predicatore arrestato a novembre per aver incitato i suoi seguaci ad andare in Siria per combattere a fianco del gruppo Stato islamico.
Cosa sappiamo della morte di Anis Amri
Il ministro dell’interno italiano ha confermato che Anis Amri, ritenuto il responsabile dell’attentato del 19 dicembre a Berlino, è morto durante un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine italiane a Sesto San Giovanni, un comune alle porte di Milano.
Ecco cos’ha detto in sintesi:
Marco Minniti ha dichiarato che la persona morta a Sesto San Giovanni era “senza alcun dubbio” Anis Amri.
La sparatoria è avvenuta in piazza I Maggio, a Sesto San Giovanni, verso le 3 di notte. Amri era stato fermato per un controllo stradale. L’uomo, che era a piedi, alla richiesta di mostrare i documenti ha tirato fuori una pistola dallo zaino e ha sparato a un agente, Christian Movio, ferendolo. A quel punto i poliziotti hanno risposto al fuoco, uccidendolo. Anis Amri con sé non aveva documenti.
Il poliziotto colpito alla spalla è stato portato in ospedale: le sue condizioni non sono gravi.
Dagli accertamenti della Digos, coordinati dal capo dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili si è scoperto che Anis Amri, è arrivato in Italia dalla Francia, in particolare da Chambery, da dove aveva raggiunto Torino. Dal capoluogo piemontese ha preso un treno per Milano dove è arrivato attorno all’una di notte. Infine dalla stazione centrale si è spostato a Sesto San Giovanni, dove ha incrociato i due agenti della volante.
Fonte Internazionale.it
mercoledì 14 dicembre 2016
SIRIA - ALEPPO-EST: FORZE ASSAD UCCIDONO DONNE E BAMBINI
"82 civili, tra cui 11 donne e 13 bambini sono uccisi dalle forze pro-governative in quattro diversi quartieri"....
Inizia cosi, drammaticamente dirompente la dichiarazione che il portavoce dell'Alto comissariato Onu per i diritti umani, Rupert Colville ha rilaciato alla Bbc online.
Le forze lealiste del presidente siriano Bashar al-Assad avrebbero ucciso decine di civili nei quartieri est di Aleppo, tra cui donne e bambini, entrando nelle loro case. I rapporti consegnati alla sede Onu di Ginevra parlano anche "di numerosi corpi che giaciono per le strade". Colville ha precisato:" Speriamo, profondamente, che queste segnalazioni siano errate o esagerate, in quanto la situazione è estremamente fluida ed è molto difficile verificare le segnalazioni.
Che, tuttavia, sono corroborate da fonti affidabili".
La ferocia delle forze di Assad si sarebbe scatenata nei quartiere di al-Kallaseh e Bustan al-Qasr.
Alcuni civili sarebbero riusciti a fuggire, altri sarebbero "stati catturati e uccisi sul posto" ed altri ancora arrestati. Numerose fonti confermano, inoltre, che le forze pro-governative entrano nelle abitazioni e uccidono chiunque vi si trovi, anche le donne e bambini.
Anche il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) lancia un allarme per la situazione. Per più di una settimana, il Cicr è stato in contatto con tutte le parti per trovare per prevenire ulteriori sofferenze, ma ogni sforzo è stato vano. L'organizzazione umanitaria dichiara nel frattempo di voler restare a disposizione, insieme alla Mezzaluna Rossa siriana, come "intermediario umanitario neutrale e imparziale".
D.Bart.
lunedì 12 dicembre 2016
Aleppo e Mosul - Strategia e ferocia contro i tagliagole del Califfo
Ad Aleppo, città chiave per i destini della Siria, i giochi sembrano ormai conclusi: la città è quasi completamente controllata dalle forze lealiste di Assad. Sostenuti dagli Hezbollah sciiti e dall’aviazione russa, i soldati siriani nei mesi scorsi hanno circondato le milizie dei ribelli islamisti, tagliando loro ogni rifornimento, per poi sgretolarne la resistenza.
A Mosul, ossia la preda più importante caduta fra le braccia dei tagliagole del califfo al-Baghdadi due anni fa, il governo iracheno sta cercando di ottenere la vittoria definitiva sul Daesh.
Aleppo e Mosul. Due città simbolo della ferocia della guerra civile in atto in Siria e Iraq e, allo stesso tempo, i due cardini strategici attorno a cui si combatte per plasmare il Medio Oriente futuro: perché vincere in queste città significa molto di più del loro mero possesso territoriale. Due centri urbani che vivono da settimane una storia parallela, sia pure con esiti diversi.
Ma le analogie fra le due città finiscono qua. I loro destini intrecciati sono frutto di strategie e di politiche diverse. A Mosul, le forze armate di Baghdad sembravano all’inizio aver optato per un attacco 'a ferro di cavallo', per circondare da tre lati la città, lasciando tuttavia aperto il corridoio occidentale, che la collega ai territori del Califfato in Siria, così da favorire una ritirata dei miliziani jihadisti, evitando una guerra strada per strada che avrebbe mietuto moltissime vite innocenti fra la popolazione.
Secondo alcuni osservatori il piano strategico sarebbe stato cambiato su pressione degli iraniani (ma anche di russi e curdi), desiderosi di intrappolare in una morsa i guerriglieri del Daesh al fine di annientarli completamente. Troppo alto il rischio che una loro ritirata si riverberasse negativamente sulla campagna militare dell’alleato Assad in Siria. E dato il ruolo delle milizie sciite controllate da Teheran e di quelle curde nel sostenere l’attacco a Mosul, Baghdad avrebbe dovuto mutare il suo progetto, impegnandosi in una dura battaglia strada per strada. I vertici delle forze armate irachene hanno ovviamente smentito ufficialmente questa ricostruzione, che li trasformava in esecutori delle decisioni iraniane, sottolineando come i propri soldati stiano attuando il piano previsto. Qualche dubbio, in realtà, permane. Ma il dato che maggiormente differenzia Aleppo da Mosul è il modo in cui i due governi guardano alle rispettive popolazioni.
Baghdad preferisce correre il rischio di un logoramento delle sue forze in una lunga battaglia nei vicoli di Mosul, piuttosto che colpire duramente dall’esterno i miliziani di Daesh, perché considera primario il contenimento delle vittime civili. E perché cerca – magari goffamente – di ricostruire la Mosul di prima del conflitto, ove convivevano comunità e gruppi religiosi diversi. Anche per questo non vuole far entrare le milizie sciite nel centro storico, temendo rappresaglie contro i sunniti rimasti. Al contrario, Assad non ha esitato a investire Aleppo con bombardamenti aerei e terrestri pesantissimi, schiacciando sì i ribelli, ma facendo strage di donne e bambini, distruggendo persino gli ospedali. Si parla già di centinaia di abitanti 'spariti', probabilmente nelle mani della famigerata polizia segreta del regime. Da una parte, una strategia che cerca di non infettare ulteriormente le ferite, per evitare di cadere nuovamente nella trappola della contrapposizione settaria, e con l’ambizione – speriamo non velleitaria – di ricostruire una convivenza fra comunità diverse negli stessi spazi. Dall’altra parte, la logica militare più crudele, che fa di città e abitanti solo dei punti sulla mappa da segnare come propri, 'sotto controllo'.
Ma che non offre alcuna prospettiva politica dopo la vittoria militare, nonostante l’estremismo islamista offra al regime, per quanto compromesso, la possibilità di apparire come un elemento tutto sommato meno pericoloso dei suoi oppositori. Ma Assad sembra non conoscere altra forma di controllo se non quella, illusoria e scivolosa, della forza bruta.
sabato 10 dicembre 2016
Washington Post: secondo un rapporto Cia la Russia ha favorito la vittoria di Trump.
Usa: "Individui legati a Mosca hanno dato mail hackerate a Wikileaks" ai danni del partito democratico e di altre organizzazioni, compreso il presidente della campagna di Hillary Clinton John Podesta.
Trump respinge le accuse: "E' ora di guardare avanti"
10 dicembre 2016.
In una valutazione segreta la Cia sostiene che Mosca è intervenuta nelle elezioni Usa per aiutare Donald Trump a vincere la presidenza: lo scrive il Washington Post citando fonti definite informate. Gli 007 Usa hanno individuato attori legati al governo russo che hanno fornito a Wikileaks migliaia di email hackerate ai danni del partito democratico e di altre organizzazioni, compreso il presidente della campagna di Hillary Clinton John Podesta. Le fonti del Wp descrivono gli individui legati al governo russo come attori noti alla comunità dell'intelligence e facenti parte di una più vasta operazione per spingere Trump e minare le possibilità della sua rivale Hillary Clinton. "E' opinione della comunità di intelligence che l'obiettivo della Russia fosse favorire un candidato rispetto ad un altro, aiutare Trump ad essere eletto", ha confidato un alto dirigente Usa informato sulla presentazione dell'esito degli accertamenti fatta ad alcuni senatori americani. "Questa è l'opinione dominante", ha aggiunto. Ieri il presidente Barack Obama aveva disposto una verifica "completa" circa le presunte attività di hackeraggio e intrusioni legate alle elezioni presidenziali americane, chiedendo un rapporto esaustivo che vuole sul proprio tavolo prima di lasciare la Casa Bianca il prossimo 20 gennaio.
Ma Trump respinge le accuse: "E' ora di guardare avanti",dice. Anche il team di transizione di Donald Trump ha respinto le accuse contenute nel rapporto della Cia e rivelato dal Washington Post. Della Cia - si afferma in una nota del team - "fanno parte le stesse persone che dicevano che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa". "Le elezioni si sono concluse molto tempo fa - aggiunge la nota - ...è ora di guardare avanti e 'Rifare grande l'America'", conclude citando il motto della campagna elettorale". -
giovedì 8 dicembre 2016
Civili e bambini, vittime di un raid aereo in Iraq.
mercoledì 7 dicembre 2016
ALEPPO : Forze Assad hanno conquistato l' 85% della parte orientale della città
I soldati dell'Esercito governativo siriano avanzano su Aleppo est: altri due i sobborghi conquistati stamani secondo l'agenzia ufficiale Sana. Per l'Osservatorio dei diritti umani, i lealisti controllano ora tutta la città vecchia. Russia Today stima che le forze di Damasco abbiano riconquistato l'85% di Aleppo est.
E' di 53 civili uccisi il bilancio dei bombardamenti aerei governativi e russi su Aleppo est nelle ultime 24 ore. Lo riferiscono fonti mediche della protezione civile dei quartieri sud-orientali di Aleppo. I raid più intensi si sono abbattuti nei quartieri prossimi alla città vecchia, teatro dell'avanzata lealiste delle ultime ore.
Le forze armate delle opposizioni siriane hanno avanzato nelle ultime ore una richiesta di tregua di cinque giorni ad Aleppo. Lo riferisce la tv panaraba al Jazira che cita fonti in quel che rimane dei quartieri orientali ancora controllati dai miliziani anti-governativi. La tregua, affermano le fonti, serve per consentire l'evacuazione dei civili più bisognosi di cure mediche e di aiuto. Secondo l'Onu nei quartieri orientali sotto assedio e presi nella morsa dell'offensiva lealista rimangono ancora più di 200mila civili.
Circa 3.000 miliziani hanno deposto le armi a Khan al-Sheikh, vicino Damasco, ed è stato loro consentito di lasciare la città con le famiglie per dirigersi nella provincia di Idlib a bordo di 52 autobus: lo scrive l'agenzia di stampa ufficiale russa Tass. "Dopo lunghi e difficili negoziati - ha spiegato il colonnello russo Alexiei Leshchenko -, è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco con i miliziani". I miliziani avrebbero lasciato sul posto 500 armi da fuoco, fucili da cecchino, e decine di mortai.
Un colonnello delle forze armate russe, Ruslan Galitskiy, è morto per le ferite riportate "in un attacco di artiglieria dei miliziani della cosiddetta opposizione contro uno dei quartieri di Aleppo ovest": lo riferisce il ministero della Difesa di Mosca precisando che l'alto ufficiale è deceduto in ospedale e "i medici hanno lottato per la sua vita per alcuni giorni". Secondo il ministero della Difesa russo, Galitskiy faceva parte di un gruppo di consiglieri militari russi inviato in Siria..
Turchia: Amnesty, centinaia di migliaia di civili curdi sfollati
Istanbul - Le operazioni militari della Turchia contro il Pkk nel sud-est del Paese a maggioranza curda hanno provocato dall'estate 2015 "centinaia di migliaia di sfollati" civili, espropriando o distruggendo le loro case.
Lo denuncua Amnesty International, che ha pubblicato ieri un nuovo rapporto focalizzato sul distretto di Sur, centro storico della 'capitale' curda Diyarbakir, dove gli sfollati sono stimati in almeno 24 mila.
"Il processo in corso nella regione nel suo complesso suggerisce un piano premeditato per allontanare i residenti, distruggere e ricostruire le aree per garantire la sicurezza attraverso modifiche nell'infrastruttura e trasferimenti di popolazione", si legge nel rapporto. Le autorità di Ankara non hanno al momento risposto alle accuse dell'ong.
Fonte Ansamed
lunedì 5 dicembre 2016
NON HA VINTO LA COSTITUZIONE. HA VINTO L'ODIO CONTRO UN UOMO

No, non è la Costituzione ad uscire vincitrice da questo referendum. Né la democrazia, che si concretizza nel miscuglio di un calderone dove si girano, rigirano e crogiolano elettori in buona o cattiva fede, costituzionalisti incazzati per non aver potuto partecipare alla stesura della Riforma, giornalisti reazionari e stronzi-dentro, politici trombati o di parte.
Non ha vinto la Costituzione, ha vinto l'odio contro un uomo.
Un uomo arrogante, bugiardello, antipatico a tanti, ma che nella sua sfrontatezza ha cercato di sollevare questo Paese dall'immobilismo.
Quante volte in questi ultimi 30anni si è invocata - da destra a sinistra, passando per il centro- una profonda riforma della nostra Carta ormai in vigore dal 1° gennaio 1948?
E' da allora che ci portiamo avanti il sistema del bicameralismo perfetto. Ovvero una deliziosa, giocosa "navetta parlamentare" per cui una legge, per poter essere approvata, deve essere votata - nello stesso testo- sia alla Camera che al Senato. Se una della due aule propone modifiche scattano i noti, lunghissimi procedimenti dal momento che ciascuna camera può modificare per un illimitato numero di volte la proposta di legge. Un bel sistema, davvero. Sul fatto che le regole dovessero essere cambiate tutti erano d'accordo. Ci si è provato con ben tre bicamerali.
-Prima Bicamerale, Commissione Bozzi 1983-1985.
La riforma di Berlusconi del 2006, approvata a maggioranza assoluta dal parlamento, fu respinta dai cittadini con oltre il 61% di voti contrari. Oggi tutti i berlusconiani che in massa hanno optato per un secco NO sostengono che fosse una proposta migliore di quella appena sconfitta.

Di fatto entrambe vogliono porre fine al bicameralismo paritario e trasformare il Senato in camera di rappresentanza degli enti locali. Nella riforma Berlusconi, però, tale camera avrebbe dovuto anche legiferare su temi in cui le regioni hanno competenze in concorrenza con lo Stato.
E' questa la differenza rispetto alla riforma Boschi. Che accanto alla sia pur severa, drastica riduzione dei poteri del Senato, introduce finalmente il PROCEDIMENTO IN TEMPI CERTI, regolando i tempi a disposizione delle aule.
Politicizzando la riforma avete finito per penalizzarne il contenuto. Peccato.
D.BART
giovedì 1 dicembre 2016
SIRIA. ALEPPO EST, LE TRUPPE DI ASSAD FRANTUMATO IL FRONTE JIHADISTA
La battaglia per la conquista della città siriana di Aleppo sembra essere a una svolta cruciale. Le truppe governative, con l'appoggio delle milizie sciite, hanno conquistato alcuni quartieri chiave controllati dalle unità dei ribelli nella zona est della città. Le forze del Presidente Bashar Assad sono riuscite a spezzare in due il fronte dell'opposizione, il che renderà decisamente più complessa la resistenza dei ribelli in futuro. Secondo gli analisti russi, le autorità siriane e i governi che sostengono il Paese (Russia e Iran) cercheranno di conseguire il massimo degli obiettivi prima del passaggio di consegne ai vertici dell'amministrazione degli Stati Uniti così da mettere il nuovo capo della Casa bianca, Donald Trump, di fronte a un fatto compiuto, e cioè che la battaglia di Aleppo è stata persa dalle forze dell'opposizione.
L'offensiva sulla città.
L'offensiva, lanciata dall'esercito lealista ad Aleppo est verso la metà di novembre, è stata sabato scorso notevolmente intensificata. Le forze di Bashar Assad sono riuscite a riconquistare il controllo degli importanti quartieri di Masaken Hanano e Jabal Badro. E il 28 novembre l'esercito lealista, con l'appoggio delle unità delle milizie sciite di Libano, Iraq e Iran, ha avuto la meglio, mettendo in fuga le forze dell'opposizione dai quartieri di al-Haidaria, Sheikh Khider e Hai Es Sahour. In questo modo l'esercito lealista ha frantumato in una zona nord e in una zona sud il territorio controllato dalle forze avversarie che verso il 28 novembre era già stato in larga parte "ripulito". "Attualmente è stato ristabilito il pieno controllo su 12 quartieri della città", ha fatto sapere il 28 novembre il Centro di coordinamento per la riconciliazione delle parti in conflitto in Siria. Secondo i dati in suo possesso, le forze lealiste avrebbero conquistato complessivamente il 40% del territorio di Aleppo est, mentre fonti occidentali parlano di "oltre il 30%". Come riferisce l'emittente televisiva inter-araba Al-mayadin, i nemici di Damasco hanno subito delle perdite e si ritirano dai quartieri di Aleppo sud, arrendendosi e lasciandosi prendere prigionieri.
TRUMP TRADISCE GLI ELETTORI. IL TESORO NELLE MANI DI UN BANCHIERE DI GOLDMAN SACHS.
In campagna elettorale Trump ha promesso diUMP «ripulire la palude» dalla melma degli interessi e dei poteri forti come quelli raccolti dalla fondazione di famiglia dei Clinton. La rabbia contro le élite era stata una delle chiavi per guadagnare consensi e distinguersi dal resto dei candidati repubblicani alle primarie. Ora Trump mette fine alle sue promesse elettorali scegliendo come Segretario del Tesoro l’ex banchiere di Goldman Sachs Steven Mnuchin, 53 anni di cui 17 spesi nella banca di investimenti.
E Mnuchin dichiara subito, senza smentirsi: "aboliremo parte della riforma di Wall Street"
Il segretario al tesoro Usa designato Steve Mnuchin quindi annuncia un affondo sulla riforma di Wall Street varata dall'amministrazione Obama come risposta alla crisi finanziaria del 2007-2008: "Vogliamo abolire tutte quelle regole della legge Dodd-Frank che ostacolano i prestiti delle banche soprattutto verso le piccole imprese", ha detto Mnuchin alla Cnbc. "Questa sarà la priorità numero uno sul fronte della regolamentazione", ha aggiunto. Non ci sara' "un taglio assoluto" delle tasse sui piu' ricchi" ha aggiunto Mnuchin, sottolineando come "ogni riduzione per i redditi piu' alti sara' bilanciata da minori deduzioni". Mnuchin ha quindi spiegato come la riforma fiscale andra' a vantaggio soprattutto della middle class, con grosse agevolazioni per le famiglie con figli.
D.Bart