Il primo ministro riconosciuto dall'ONU arriva in Libia via mare.
A cinque anni dall'intervento armato di Francia e Granbretania, che portò alla caduta del regime di Mu’ammar Gheddafi, un nuovo attacco incombe sulla Libia. A programmarlo sono ancora una volta i principali governi europei ora che il primo ministro sostenuto dalle Nazioni Unite, Fayez al-Sarraj, è sbarcato a Tripoli accolto dalle proteste della popolazione. Come avvenne nel 2011 (anche da parte di Berlusconi), già si sono levate voci contrarie, certe che una spedizione potrebbe rafforzare la presenza di Daesh nel Paese.
Di parere favorevole ad un attacco è, invece, nostro ministro della difesa Roberta Pinotti che ha dichiarato : "L'Italia è disponibile ad avere la leadership di una missione di stabilizzazione in Libia”. Dal rovesciamento e dalla morte del colonnello Mu’ammar Gheddafi il Paese è diviso tra due Parlamenti, oltre 140 tribù mentre il governo è in esilio a Tunisi: un caos. Il nuovo intervento armato viene motivato dalla necessità di fermare l'avanzata dell'Isis. Sempre che "avanzata"si possa definire il limitato numero di miliziani affiliati a Daesh, 3.500 circa, che si sono concentrati sulla costa centrale del Paese, nella citta di Sirte.
Il progetto del Governo italiano e della coalizione internazionale sostenuta dagli Stati Uniti si fonda su una recente risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU nella quale si parla di alcune “urgenze” e cioè : garanzia dell’approvvigionamento energetico e gestione dei flussi migratori. Sulla base di tali priorità viene riconosciuta all'autorità libica di unità nazionale la possibilità di richiedere l'intervento di forze esterne. Secondo il presidente della Camera di commercio italo-libica Gian Franco Damiano, però, il protagonismo del nostro Paese e le dichiarazioni interventiste del ministro Pinotti dimostrano un “grande dilettantismo” che rischia di danneggiare gli interessi delle oltre 150 imprese italiane che lavorano in Libia.
L'approssimazione degli interventisti
Per un attacco militare sul terreno ci vorrebbero almeno 300mila uomini. Mentre bombardare dal cielo significa colpire alla cieca causando ancora centinaia di vittime tra i civili. La questione fondamentale è che la popolazione libica non ha modo di esprimersi, i governi- e questo di Serraj non fa eccezione- sono delegittimati dai numeri e dalle loro azioni: Si comportano come ‘bande’ che proteggono interessi personali, privati e di gruppi, asserviti a logiche geopolitiche e al commercio del petrolio. L'esperienza, d'altronde, l’ha già dimostrato: gli interventi armati fanno gli interessi delle industrie belliche. Solo loro guadagnano dalla guerra. Non le popolazioni, che restano nel caos, a piangere i morti.
D:Bart