sabato 20 aprile 2019

Tripoli: in 600 senza acqua e cibo. Migliaia di famiglie libiche in fuga, 3.000 migranti bloccati in zone di conflitto

 Nel centro di Qaser Bin Gashir più di 600 persone, tra le quali bambini molto piccoli e donne in gravidanza, inviano appelli disperati: non hanno più cibo, non hanno acqua.


Centro di Qaser Bin Gashir


Venerdì scorso le forze di Haftar hanno conquistato l’area è intorno sono ancora in corso scontri violenti; è impossibile far giungere loro generi alimentari o soccorsi. Ora temono il trasferimento in un altro centro, a Zintan, dove morti di tubercolosi  sono sempre più numerosi. E nonostante la gestione dei centri sia stata criticata e bocciata dai vari organismi internazionali,  i governi europei, compreso quello italiano, restano indifferenti davanti alla  violazione sistematica delle convenzioni internazionali, alle condizioni sanitarie agghiaccianti, alle continue torture cui sono sottoposti migliaia di rifugiati. Condizioni che l’esplosione della guerra ha reso ancora più disumane. 

Centro di Qaser Bin Gashir


I combattimenti hanno inoltre costretto migliaia di famiglie libiche a fuggire dalle proprie case per cercare riparo dai parenti o in rifugi temporanei in edifici pubblici: scuole, palestre, uffici. Fra meno di due settimane gli ospedali avranno terminato le scorte di forniture mediche.. Acqua ed elettricità scarseggiano, i rifugiati e i migranti bloccati nei centri di detenzione governativi vicini alle  zone del conflitto sono oltre 3.000. Per loro non esiste via di fuga, il fuoco incrociato li sfiora giorno e notte.
#MédecinsSansFrontières  ha soccorso in questi giorni i centri di Anjila, Abu Salim, Sabaa. Ha fornito acqua potabile a quello di  Tajoura dove le persone della comunità danno un grande aiuto portando cibo ai migranti. Ma nessuna soluzione permanente è stata presa in considerazione dalle autorità libiche. Nel centro di Ain Zara, a 6,5 chilometri dalla linea del fronte, sono  ammassate 540 persone, in condizioni disumane.



Centro di Qaser Bin Gashir



Sebbene il numero di persone all’interno dei centri possa variare di giorno in giorno, al momento ci sono 135 persone in quello di Anjila, a 5,5 chilometri dal fronte, mentre pochi giorni fa c’erano 910 persone nel centro di Abu Salim, il più vicino a quello che nei prossimi giorni potrebbe essere territorio di scontri, dopo il bombardamento del quartiere la notte del 16 aprile. L’UNHCR si sta preparando a trasferire una parte delle persone più vulnerabili da Abu Salim al proprio Centro, ma lo spazio è limitatissimo.

D.Bart.


martedì 9 aprile 2019

GUEARRA IN LIBIA: ''NON CONDIVIDONO IL CIBO PERCHE' SIAMO CRISTIANI''

Nei centri di detenzione libici sono trattenute attualmente circa 5,700 persone. Sono uomini, donne e bambini la cui esistenza è, al momento, scandita da poche regole, sia pur malfamate. Se con il cambiamento della situazione politica anche queste dovessero crollare una nuova  emergenza andrebbe ad aggiungersi al caos generale. 

Nell'immagine centro di detenzione libico a Zintan, a 160 km da Tripoli (fonte OPEN)

Le violenze inflitte alla popolazione civile durante gli scontri armati non hanno freni, vengono perpetrate da tutte le parti in conflitto, senza distinzione alcuna. Perché in guerra non esistono buoni e cattivi, si combatte per uccidere. Ma per il momento non c’è una missione umanitaria pronta a correre in soccorso della Libia.  Dai messaggi che filtrano si capisce che i detenuti sono al corrente della situazione

Gira voce che in alcuni centri di detenzione - come a Qaser bin Ghasir e Gharyan - i migranti si trovino bloccati senza viveri e senza elettricità. L’unico piano di evacuazione fino ad ora eseguito ha riguardato i dipendenti dell’Eni e dell’ambasciata italiana. Ma nessuna  missione umanitaria è  stata organizzata per il soccorso in Libia.

Il conflitto
Il conflitto vede contrapposti il Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj a Tripoli, (appoggiato delle Nazioni Unite, compresa l’Italia,  i cui interessi economici sono prevalentemente concentrati nella zona nord-occidentale del Paese), e le forze del Generale Khalifa Haftar, (appoggiate dagli Emirati Arabi Uniti), che controlla la Cirenaica con le città di Bengasi e Tobruk.
La tregua umanitaria chiesta dall’Onu non viene minimamente rispettata. Si cominciano a contare i morti, una cinquantina per ora, da una parte e dall’altra. Il conflitto è arrivato fino alla periferia di Tripoli con il bombardamento dell’aeroporto. 


In città le scuole sono chiuse, la gente s’ammassa nei supermercati per fare scorte di cibo, alcuni hanno già abbandonato le proprie abitazioni in cerca di luoghi ritenuti più sicuri.
Attacchi missilistici da parte delle forze di Haftar.-milizie dell’autoproclamato Liyan national army (Lna)- hanno  colpito la città di Grad da Garian,  a circa 80 chilometri da Tripoli. 

I lager libici
I centri di detenzione in Libia sono 26. È li che la guardia costiera libica, finanziata anche con il contributo dell’Ue, rinchiude tutti i migranti che tentano di lasciare l’Africa via mare. Chiunque manifesti, anche pacificamente, viene sottoposto a violenze e torture di vario genere, come si è potuto documentare  nel centro di Triq al Sikka a Tripoli.


Centro di detenzione libico a Zintan, a 160 km da Tripoli (fonte OPEN)


Oppressi, torturati, ammassati in spazi ristretti e senza servizi igienici: è questo il destino dei migranti meno fortunati che non sono riusciti a superare la barriera dei guardiani del mare. Dalla capitale libica sotto assedio  arrivano ad Open messaggi come questi: “Siamo circa 130 profughi e viviamo in un hangar. Alcuni di noi hanno passato più di due anni nei centri di detenzione. Fa molto freddo e il cibo scarseggia. I libici non vogliono condividerlo con noi perché siamo cristiani".

“Abbiamo paura. Non possiamo scappare e anche se cerchiamo di farlo rischiamo di essere rapiti, per cui preferiamo stare in questa prigione disgustosa. È un momento terribile. La guerra ci fa paura. Sentiamo le bombe cadere».
Questo è il messaggio di un ragazzo eritreo. Uno dei tanti già segregati in condizioni pietose, che stanno vivendo una situazione ancor più devastante.

D.Bart.

sabato 6 aprile 2019

L'AVANZATA DI KHALIFA HAFTAR SU TRIPOLI: UN BLUFF O UN POSSIBILE BAGNO DI SANGUE

Khalifa Haftar passa all’atto e decide di prendersi la Libia. Irrompere nella capitale è finalmente, per il Generale, un traguardo raggiungibile: ora che la popolazione, stremata dai disordini, desidera soltanto un salvatore, ora che i capi delle milizie non sembrano assolutamente propensi ad impegnarsi in pericolosi combattimenti.

È facile immaginare che Haftar conti di portare dalla propria parte molti gruppi armati della capitale. La situazione è tale da escludere uno scontro ideologico. Alla “fede”, semmai, si ispirano solo alcuni miliziani salafiti, seguaci di un predicatore saudita, che militano nell’esercito del Generale.
A prevalere, in questa fase, sono interessi, opportunità legate ad un quadro più generale e internazionale.
Haftar è sostenuto economicamente dagli Emirati Arabi Uniti, supportato,forse,dai sauditi e dai russi attraverso i mercenari del gruppo Wagner presenti in territorio libico. Può contare, inoltre, sull’appoggio politico e d’intelligence dei francesi.

Evidentemente, non su quello degli Stati Uniti dell’era Trump, molto defilati e indifferenti nei confronti di eventi che non riguardino direttamente l’America. Non su quello delle Nazioni Unite o della comunità internazionale che, sia pur sommessamente, appoggiano Fayez al Sarraj, premier del governo di Tripoli riconosciuto dalla comunità internazionale dopo l'accordo di pace del dicembre 2015.

Non su quello dell'Unione Europea che, senza nemmeno nominare i co-protagonisti della difficile situazione libica, si rivolge a "tutte le parti coinvolte" invitandole ad evitare un'evoluzione violenta della crisi. Le milizie hanno ormai capito che alla Libia, come a tutto il Nord Africa, convenga appoggiarsi ai paesi del Golfo

Il Generale Haftar, ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore del Governo cirenaico di Tobruk, non ha al momento a disposizione una forza militare in grado di sopraffare militarmente la capitale; ma soprattutto, se vuole assicurarsi legittimità, interna e internazionale, non può far degenerare la crisi in un bagno di sangue. E con  Misurata, citta-stato che difende Tripoli, l’ingresso del Generale non potrebbe passare se non attraverso azioni violente. 


Secondo alcuni osservatori l'avanzata verso la capitale costituirebbe una sorta di bluff per capire chi è disposto ad appoggiarlo.

Haftar ha combattuto per anni prima di liberare Bengasi, ha già subito le prime perdite solamente affacciandosi ai sobborghi di Tripoli. Possibile allora che le trattative ufficiose continuino, cosi come la  propaganda che lo indica come “liberatore dalle forze terroristiche”? Il supporto internazionale e il clima di generale pacificazione lo favoriscono nel medio e lungo periodo. La sua credibilità si gioca tutta in queste ore.
E ammesso che riesca a conquistare il potere a Tripoli, quanto tempo avrebbe a disposizione per riorganizzare un paese nel caos, privo ormai di una qualunque istituzione cui appoggiarsi per ricominciare? Haftar ha 75 anni, e dopo il suo recente ricovero a Parigi non circolano voci confortanti sulla sua salute.

D.Bart.