Il conflitto civile che dal marzo 2015 insanguina lo Yemen ha causato fino ad oggi oltre 16mila morti, di cui almeno 10mila civili, e oltre 3 milioni di sfollati su una popolazione di poco superiore ai 25 milioni di abitanti.
Un Paese già da tempo classificato tra i più poveri del pianeta è stato ulteriormente devastando in maniera sistematica.
La tragedia yemenita è tornata improvvisamente all’attenzione dei media internazionali per pochissime ore il 30 gennaio scorso, quando in un raid dei Navy Seals contro una base di Al Qaeda le forze armate statunitensi hanno subito la prima perdita dell’era Trump.
La tragedia yemenita è tornata improvvisamente all’attenzione dei media internazionali per pochissime ore il 30 gennaio scorso, quando in un raid dei Navy Seals contro una base di Al Qaeda le forze armate statunitensi hanno subito la prima perdita dell’era Trump.
Altrimenti, quella dello Yemen, rimane relegata nel grande guscio crudele delle guerre dimenticate, delle vittime che pur innocenti non fanno notizia, del dolore e delle disgrazie che si consumano nel silenzio e nell'indifferenza generale.
E in questa carneficina schematizzata è L’Arabia Saudita ad essersi impegnata sin dall’inizio nel sostegno attivo al governo yemenita di Abdrabbuh Mansur Hadi. Scopo: contrastare i ribelli del movimento sciita zaydita Ansar Allah, meglio conosciuti come Houthi, attualmente padroni della capitale yemenita Sana’a, dove hanno istituito un autoproclamato Comitato Supremo Rivoluzionario.
Nella contesa, si inseriscono sciaguratamente i gruppi jihadisti, il più importante e pericoloso dei quali, AlQaeda, controlla il governatorato di Hadhramaut, vale a dire circa un terzo del territorio del Paese.
Riyadh ha dispiegato in Yemen circa 150mila truppe guidando così un’eterogenea coalizione formata da Paesi alleati all’Arabia Saudita: Kuwait, Qatar, Giordania per il supporto aereo;
Marocco, Sudan e Senegal con truppe di terra.
Marocco, Sudan e Senegal con truppe di terra.

Nonostante le ripetute smentite sul suo coinvolgimento, infatti, l’Iran parteggia per la causa degli Houthi.
E lo fa con grande profitto dal momento che la resistenza delle loro forze tiene in scacco consistenti contingenti del suo grande rivale regionale, mortificandone anche le ambizioni su un’area strategicamente importantissima: con il suo sbocco diretto sul Mar Rosso e sul cruciale Golfo di Aden, infatti, lo Yemen si trova a cavallo di un importante crocevia commerciale e delle rotte di comunicazione tra il Medio Oriente, la Penisola Araba e il Corno d’Africa. L’esperto di geopolitica Antony H. Cordesman, in un’analisi realizzata nel 2015 per il Center for Strategic and International Studies (CSIS) ha inoltre messo in evidenza le vere ambizioni dell’Arabia Saudita, che mirano allo sfruttamento dei porti e dei territori yemeniti per sviluppare infrastrutture destinate a bypassare lo Stretto di Hormuz, attualmente principale “collo di bottiglia” dei traffici di petrolio e gas provenienti dal Golfo Persico. L' attuale rete basata sulla East-West Pipeline, che collega il complesso Abqaiq col Mar Rosso, verrebbe amplificata di circa 1200 chilometri. Inoltre, secondo Cordesman, tra le ragioni che potrebbero avere spinto Riyadh a intervenire nel conflitto in Yemen potrebbero celarsi numerosi calcoli connessi alla stabilità interna del regno wahabita: il timore di ritrovarsi con uno Yemen governato da una forza politico-militare ostile, infatti, avrebbe catalizzato l’interventismo dell’Arabia Saudita che, in ogni caso, non ha fatto altro che portare una situazione già tendenzialmente insostenibile verso il precipizio.
La devastazione dello Yemen è una ferita putrescente nel corpo già malato del MO : il Paese presenta da un lato uno dei tassi di crescita demografici più elevati al mondo e una popolazione composta per la stragrande maggioranza di persone sotto i 24 anni (63% del totale), ma si trova al tempo stesso privo di qualsiasi prospettiva realistica per il futuro. La guerra, l’instabilità politica e la depressione economica hanno portato il tasso di disoccupazione vicino al 35%; il numero di abitanti sotto la soglia di povertà superiore al 45%. Ciò ha contribuito a trasformare lo Yemen in uno dei terreni più fertili per la semina e la crescita del jihadismo e del radicalismo. Nel Paese si sono sviluppati a pari passo con lo smantellamento progressivo delle istituzioni politiche e del tessuto sociale .
Il conflitto si trova adesso in una fase interlocutoria, ma precaria e insostenibile a causa del fallimento di tutti i tentativi di un cessate-il-fuoco prolungato: tutti gli sforzi delle forze lealiste di scalzare gli Houthi dalle loro roccaforti occidentali e dalla capitale Sana’a si sono rivelati illusori, mentre l’Arabia Saudita non è riuscita a controllare gli oltre 1.400 chilometri del suo confine con lo Yemen. Gli attacchi balistici dei ribelli alle sue regioni di confine hanno provocato circa 500 vittime.

Il Regno Unito e la Francia, storicamente legati con la casa dei Saud attraverso scambi, contratti d’affari miliardari e Legioni d’Onore, hanno garantito un appoggio logistico alla coalizione guidata da Riyadh. Londra ha però lanciato negli ultimi tempi vari messaggi di smarcamento.
Gli Stati Uniti sono invece entrati a gamba tesa nel conflitto operando sia contro i ribelli Houthi che contro i gruppi qaedisti. Anche nei momenti di maggiore flessione della storica sintonia tra Riyadh e Washington a causa degli abboccamenti statunitensi con Teheran, l’amministrazione Obama non ha mai fatto mancare un concreto sostegno alle azioni del suo alleato, portando avanti la cooperazione nell’ambito del Joint Planning Cell istituito nel marzo 2015 e contribuendo al discusso blocco navale volto a impedire i rifornimenti di armi agli Houthi.
L' amministrazione Trump, che pure al suo ingresso ha subito bannato lodevoli provvedimenti come la riforma sanitaria, segue in questo caso la linea di intervento inaugurata da Obama.
Il presidente repubblicano, nonostante le dichiarazioni ostili a Riyadh pronunciate in campagna elettorale, ha deciso di puntare sul cavallo saudita in funzione di contrasto all’Iran, che alcuni suoi top advisors come il Generale Michael T. Flynn considerano l’avversario strategico numero uno, e proseguire una sintonia commerciale e affaristica confermata dai 115 miliardi di dollari in armamenti acquistati da Riyadh negli ultimi otto anni. Rudy Giuliani, Consulente per la Sicurezza Informatica di Trump, ha spiegato in un’intervista a Fox News come la mancata inclusione dei cittadini sauditi nel visa ban sia funzionale a un preciso disegno strategico, dato che l’Arabia Saudita è stata tutelata per i suoi legami con Israele e per la sua utilità in funzione anti-iraniana. Per non parlare degli interessi personali di Trump, delle società recentemente registrate e impegnate in progetti di sviluppo a Jeddah.
Così, nella grande tragedia yemenita, dopo il fallimento dei colloqui di pace di novembre, la partecipazione degli Usa potrebbe persino intensificarsi. Secondo il parere espresso dal giornalista David Swanson a Russia Today si avrà una nuova escalation del conflitto. Tra i maggiori sostenitori di un proseguimento del coinvolgimento americano in Yemen si posizionerebbe Erik Prince, già consulente - si dice- nella scelta dei membri dell’amministrazione Trump. In passato, da Ceo della compagnia militare privata Blackwater, ha attivamente collaborato col governo degli Emirati Arabi Uniti, che hanno arruolato centinaia di mercenari colombiani da inviare a combattere in Yemen a partire dal 2015.
Lo Yemen, intanto, viene ogni giorno insanguinato dall'incessante ripetersi di scontri tra i contendenti del conflitto civile.
Solo pochi giorni fa, il 1' febbraio, 80 soldati sauditi ed emiratini sono stati uccisi in un attacco missilistico contro un campo d’addestramento, mentre nei primo giorni di gennaio i raid aerei della coalizione hanno ucciso 55 civili in due giorni nel corso delle operazioni dei lealisti volte a prendere il controllo della regione circostante la città di Dhubab. Morti dimenticati in un Paese che nel 2017 rischia di sprofondare in una catastrofe umanitaria senza precedenti. Il responsabile degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite Stephen O’Brien ha infatti riportato come in Yemen 10,3 milioni di persone necessitino di assistenza immediata, 2,2 milioni di bambini soffrano la fame e, in media, ogni dieci minuti un minore di 5 anni muore per cause potenzialmente prevenibili. Abbandonato a sé stesso, straziato dagli scontri tra due contendenti che non sanno arrivare nemmeno ad un accordo temporaneo; strumento sacrificale dei grandi giochi di geopolitica internazionale, lo Yemen è oggi un Paese senza alcuna prospettiva di riappacificazione sia interna che esterna. Ed è impossibile prevedere in che modo si potrà dare un futuro ad un Paese afflitto dalla miseria, la cui popolazione - per la stragrande maggioranza di giovane età - è vittima della fame, in balia dell'ingannevole propaganda dell’islamismo estremo.
D.Bart
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