mercoledì 28 febbraio 2018

SIRIA: NEL MASSACRO DI GHOUTA MUOIONO ALTRI 400 CIVILI. 90 I BAMBINI.

I morti in Siria, sono oltre 340 mila dal 2011.

Pianti, urla di dolore che si confondono con il fragore delle bombe e dei mortai: il massacro del popolo siriano si consuma nel silenzio colpevole del mondo. Nel Ghouta orientale, ad est di Damasco, è una strage.  10 giorni di attacchi aerei hanno causato 400 morti - 90 dei quali bambini- e più di 870 feriti. A queste vittime, andranno ad aggiungersi quelle che non trovano posto negli ospedali, diventati bersaglio dei combattimenti insieme alle scuole.
In questo inferno in terra cade nel vuoto anche la richiesta di un immediato cessate il fuoco e la possibilità d'ingresso alla zona di personale medico.
Secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità, più di mille civili avrebbero  urgentissimo bisogno di aiuto medico perché feriti o gravemente malati.
Ultimo capitolo della guerra in Siria questo su Ghouta, che potrebbe rivelarsi il più feroce  in sette anni di combattimenti. E mentre
sale la tensione militare anche sul fronte turco,
le vittime risultano essere soprattutto civili, in particolare bambini.
In base alle stime ufficiali, più  di 400.000 civili sarebbero rimasti intrappolati nelle ultime 48 ore all'interno dell'enclave in mano all'opposizione. La Croce Rossa Internazionale ha ribadito che i corridoi della pausa umanitaria di cinque ore al giorno, dalle 9 alle 14,
annunciata da Mosca e dall'alleato siriano non possono essere usati dai civili senza un accordo tra le parti belligeranti e senza le necessarie garanzie di sicurezza.
L'ultimo convoglio umanitario che ha portato aiuti nella Ghouta si è mosso lo scorso novembre. Dunque, che altro dire! Poco importano, a questo punto, reciproche accuse ed eventuali responsabilità.
CHI SONO I RESPONSABILI DEL MASSACRO?
Sul governo di Damasco piovono nuove accuse. Secondo un rapporto pubblicato dal New York Times, che cita esperti Onu, la Corea del Nord ha spedito ai siriani forniture che potevano essere usate per la produzione di armi chimiche.
Tecnici nord coreani sono anche stati avvistati mentre lavoravano in impianti di armi chimiche e missili in Siria.
Anche ieri i bombardamenti aerei e di artiglieria governativi sono proseguiti sulla Ghouta. E secondo fonti mediche locali avrebbero causato almeno altri otto morti tra i civili, tra cui un bambino. Le aree più colpite sono Kfar Batna, Jisrin, Arbin, Harasta, Duma.
L'agenzia governativa siriana Sana ha invece accusato i "terroristi" della Ghouta di lanciare colpi di mortaio sul posto di blocco attraverso cui dovrebbero passare, secondo Mosca e Damasco, i civili in fuga dall'area assediata. La Russia afferma inoltre che durante la pausa umanitaria miliziani armati hanno continuato ad attaccare le posizioni delle forze governative vicino alle città di Hazram e Nashabiya, estendendo poi l'offensiva ad altre aree.
LA COOPERAZIONE CRIMINALE.
Nonostante l'orrore di un massacro senza fine e senza pietà, le potenze atlantiche, già responsabili di aver alimentato un conflitto fratricida e d'aver portato guerra e distruzione in Siria, non sembrano paghe. Prima uccidono, poi fanno della "cooperazione" un' orgia tra le macerie. 
Lo scandalo del sesso in cambio di cibo e altri aiuti fa prima capolino dal lungo silenzio quindi esplode in tutta la sua nefandezza. Al  terribile, esecrabile ricatto sono state sottoposte migliaia di donne siriane da parte di operatori di agenzie Onu e di ong. La denuncia viene confermata da una cooperante. In un'intervista alla BBC, proprio nella giornata mondiale delle organizzazioni no profit e nel bel mezzo dello scandalo che sta travolgendo diverse organizzazioni umanitarie in tutto il mondo, Danielle Spencer racconta nei particolari l'agghiacciante comportamento di alcuni suoi colleghi.


GLI INTERESSI E L'INDIFFERENZA DELLE GRANDI POTENZE.
L’Europa è disgregata e indifferente. Russia e Stati Uniti, Turchia e Iran, pensano a come  spartirsi le spoglie della Siria, l'Onu che riconferma la propria impotenza. Come già in Iraq, in Libia, nello Yemen.
Impotenza e inutilità tali, che  sarebbe persino giusto sciogliere l’Onu per rifondare una nuova società delle nazioni, con pari diritti e pari doveri per tutti i popoli.
Così, come attualmente concepita, l’Organizzazione delle Nazioni Unite non può rappresentare  l’interesse collettivo, non rappresenta tutti i popoli, ma solo gli interessi di alcuni. Già nell’atto della sua nascita, avvenuta a San Francisco nel giugno del 1945, c’è una norma che suona inammissibile nello statuto di qualsiasi organizzazione democratica : il diritto delle cinque nazioni vincitrici della guerra (Usa, Urss, Gran Bretagna, Francia e Cina) a partecipare continuativamente al Consiglio di sicurezza. Sarà di conseguenza che
L' Onu si sia prestata spesso nel rendere politicamente corretti crimini viceversa orrendi. Ha approvato, per dirne uno, l’embargo assassino contro l’Iraq
richiesto con prove false dagli Usa. Anche l'inefficienza è colpa, se si pensa al milione di morti in Ruanda e ai massacri di Srebrenica.
D.Bart

venerdì 9 febbraio 2018

Caccia USA bombardano est della Siria. Scontri tra curdi, lealisti e opposizione.


Con raffiche di bombardamenti che da due giorni bersagliano l'est del Paese, i caccia statunitensi hanno ucciso decine di miliziani governativi. Avviene li, dove le forze curde, sostenute dalla coalizione occidentale, combattono contro le truppe filo-Assad appoggiate da Russia e Iran.
Così, nonostante l’Isis sia stato cacciato dalle sue roccaforti, la Siria continua ad essere martoriata da scontri tra le varie fazioni che si contendono le aree di influenza.
Il governo siriano parla di "mostruosa aggressione" ed ha chiesto l'intervento dell'ONU, accusando Washington di sostenere "il terrorismo" dello Stato islamico .
Anche per Mosca si è trattato di un "attacco deplorevole", mentre i vertici della coalizione affermano che gli attacchi aerei sono stati effettuati per difendere le forze curde dall'offensiva di miliziani lealisti a ridosso dell'Eufrate, dove da 3 anni agiva l’Isis.
Come spesso accade dall'inizio della guerra civile in Siria, le versioni sugli scontri nella regione si contraddicono e, soprattutto, non arrivano mai fonti indipendenti.
Quindi:
- i vertici USA raccontano che circa 500 uomini appartenenti ai gruppi ausiliari finanziati e addestrati anche dall'Iran, sono avanzati con carri armati protetti da fuoco di artiglieria oltre l'Eufrate, verso il pozzo petrolifero di Khusham controllato dalle forze curde.
- Il ministero degli esteri siriano afferma invece che i raid aerei hanno attaccato per primi le "forze tribali" che nell'area di Khusham "combattono contro l'Isis".
(in realtà, nella zona, i miliziani dello Stato islamico sono già stati dichiarati formalmente sconfitti)
Su un altro fronte, a Ghuta, ad est della capitale Damasco, i bombardamenti degli aerei governativi hanno ucciso 75 civili, tra i quali donne e bambini, in una zona densamente abitata, controllata dall’opposizione armata.
Dallo scorso 25 dicembre la zona è stretta nella morsa dolorosa di un’offensiva lanciata dall’esercito e dall’aviazione siriani, sostenuti dalla Russia, contro miliziani appoggiati dall’Arabia Saudita.
D.Bart.

giovedì 8 febbraio 2018

IRAN. LE DONNE CONTRO IL VELO. NO-CHADOR


La sommossa parte nel  2014, quando la giornalista Masih Alinejad, iraniana, residente a Brooklyn, apre su Facebook la pagina "My Stealthy Freedom" (La mia libertà clandestina).
Dalle pagine del social, le donne vengono invitate a postare immagini di sé  senza l’hijab, il velo, che nella tradizione islamica,  allacciato sotto la gola, copre il capo e le spalle.
Oltre tre anni di lotte, più o meno sommesse, per arrivare  al 27 dicembre scorso, quando la trentaduenne Vida Movahed viene fotografata in piedi, a capo scoperto, su una cabina elettrica di Teheran.
Al centro di una delle strade più frequentate della capitale, la ragazza sventola il suo chador legato ad un bastone. L'immagine, da subito virale, diventa un simbolo.
Arrestata e in tempi brevi rilasciata Vida Movahed è attualmente l'eroina di un rinnovato, indomito desiderio di libertà.
La protesta contro l'obbligo di hijab si estende in tutto l'Iran: decine di donne rinunciano al velo, sostenute, appoggiate in molti casi anche dagli uomini.
La decisione non è indolore,  almeno 29 donne nelle città di tutto il Paese vengono arrestate. Simili coraggiosi atti di ribellione contro il velo non hanno precedenti nella storia quasi quarantennale della Repubblica, eppure, soltanto l'anno scorso, la stessa Masih Alinejad ha lanciato i “Mercoledì bianchi” o “White Wednesdays,” invitando le donne a indossare hijab bianchi ogni mercoledì per protestare contro la legge che impone l’obbligo di hijab.
La pagina della giornalista ora ha più di un milione di follower. “Ero una reporter politica, ha detto, ma le donne in Iran mi hanno costretta a occuparmi della questione delle libertà personali”.
La lotta contro il velo obbligatorio è un punto di partenza, un pretesto quasi, per tornare ad avere controllo sul proprio corpo. In discussione, insomma, non c'è l’hijab in quanto tale.
Accanto a donne a capo scoperto, infatti, protestano  donne che indossano il chador integrale. Lo fanno con orgoglio, affinché sia chiaro che il movimento, in termini di concretezza , rivendica innanzitutto il diritto della donna di scegliere come vestirsi. Ciò che la maggior parte dei leader continua a voler negare.
Con una clamorosa eccezione: quella dello Shah Reza, fondatore della dinastia Pahlavi, che nel 1936, con un gesto d'avventata modernizzazione, abolì il velo imponendo addirittura gli arresti domiciliari per le disobbedienti, che non sopportavano di girare con il capo scoperto.
A ripristinare l'uso dell'’hijab fu il leader della Repubblica Islamica, l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, che lo rese  obbligatorio nel 1979.
Da allora i paladini del velo si avvalgono di un detto sentenzioso: “Ya rusari ya tusari,” che tradotto significa: “o il capo coperto o un pestaggio”.
Gruppi supervisori, spesso composti da donne con lo chador integrale, battevano le strade per punire le donne poco coperte.
L'editto di Khomeini, sopravvissuto alle proteste femminili di massa, non è mai stato revocato, ma le donne iraniane sono stanche e pronte ad abbattere anche i confini del “hijab accettabile”. Hanno accorciato gli abiti modellandoli sul corpo e ridotto le stoffe dei chador.
L'ira del regime si è scatenata di pari passo. Nel 2014, la polizia iraniana ha annunciato che il “cattivo hijab” aveva portato a numerosi arresti e causato 3,6 milioni di interventi da parte degli agenti.
Come ho detto, però, l'attivismo per i diritti delle donne attribuisce  all’hijab un importanza relativa rispetto ad altre priorità come l’eguaglianza dei diritti politici o la parità di genere. Nel 2006, la campagna "Un milione di firme per la revoca delle leggi discriminatorie” riservava scarsi riferimenti al velo. Anzi, le donne iraniane considerano ossessiva l'attenzione dell' occidente per l’hijab. “Non stiamo lottando contro un pezzo di stoffa, dice Alinejad, ma per la nostra dignità. Se non potete scegliere che cosa mettere in testa, allora non vi lasceranno decidere nemmeno che cosa pensare con la vostra testa".
Purtroppo, i funzionari della Repubblica Islamica sostengono che l’hijab conferisca dignità alle donne.
Le politiche discriminatorie sono tuttora in vigore e il movimento del milione di firme resta il grande sconfitto.
La fiamma del rinnovamento, rinvigorita dal gesto di Vida Movahed che sale sulla cabina elettrica per protestare contro il chador, ha comunque costretto il governo a prendere una posizione. Immediata, la prima risposta è arrivata per voce del capo della polizia iraniana: non più "carcerazione" bensì "educazione" per le donne che non osservano l'uso dell’hijab.
Quindi, nei primi giorni di gennaio, forse per placare i disordini in atto nel Paese, il Presidente Hassan Rouhani ha compiuto un importante passo dichiarando che “non si può imporre uno stile di vita alle future generazioni”.
In questi giorni, sotto la pressione di una aumentata disobbedienza civile, il procuratore generale dell’Iran ha commentato negativamente il comportamento delle donne definendo “infantili” i gesti ispirati al "no-hijab’”.
Ma, ormai sembra chiaro, le donne iraniane non sono più inclini a farsi intimorire.
Nuove generazioni, fortemente aiutate dall'ecosistema mediatico, diffondo potenti immagini di ribellione che ribaltano la situazione : non sono più le donne a temere il governo, è il governo che ha paura delle "no-hijab”,  dei loro capelli a vista, liberi, sotto il sole e nel vento.

D.Bart.