giovedì 27 luglio 2017

L' INUTILE PRESENZA DELL' ONU E I DRAMMI DI YEMEN, LIBIA, SIRIA.


Credo che ormai nessuno al mondo possa ancora sostenere e difendere la sussistenza dell'ONU. l’Organizzazione delle Nazioni Unite, di fronte alle  immani tragedie dei popoli più sfortunati, consegna a quello stesso mondo che dovrebbe proteggere, l’immagine di un organismo totalmente inutile.
Di fronte alle tragedie che sconvolgono il mondo e all’incapacità delle superpotenze di prevenire i conflitti armati, l’ONU dovrebbe rappresentare una piattaforma fondamentale per dirimere le controversie.
Ma il sangue che bagna i teatri di guerra della Siria e dell’Iraq, dello Yemen e della Libia, la devastazione delle guerre in Africa, le crisi internazionali e il terrorismo mostrano a tutto il mondo l’assoluta incapacità  di un organismo fallimentare.  L’ONU è costantemente assente, e i suoi organi sono più che altro complessi palcoscenici in cui si confermano le stesse tendenze della politica internazionale. In assenza di un potere coercitivo, ma soprattutto legato dalle stesse regole che hanno imposto le nazioni nel momento della creazione di questa organizzazione, l’ONU è entrato in una crisi profondissima e non ha più alcun valore politico reale.

I conflitti contemporanei, senza parlare delle guerre più risalenti nel tempo, sono l’indice dell’assoluta futilità delle decisioni del Palazzo di Vetro. In molti casi, l’intervento armato degli Stati ha bypassato completamente qualsiasi dichiarazione delle Nazioni Unite.
In Siria è stata violata la sovranità nazionale di Damasco senza che l’ONU intervenisse quantomeno per regolare questo conflitto. In Iraq, di fronte all’avanzata dello Stato Islamico, quando stava ancora nascendo, nessuno ha pensato di intervenire per tutelare la popolazione civile né per impedire che il Califfato dilagasse.
In Libia ha tentato di intervenire all’inizio della guerra civile, cercando di mediare e di difendere la popolazione con inutili no-fly zones, ma il suo intervento è stato irrisorio, superato di gran lunga dagli interessi francesi, britannici e americani nel far finire il governo di Gheddafi e imporre un regime-change che non era richiesto in sede ONU. Ha poi sostenuto Serraj, e ora la Libia non solo è divisa e devastata dalla guerra, ma l’unico governo che le Nazioni Unite riconoscono, cioè quello che in teoria dovrebbe avere un certo potere effettivo sul Paese, in realtà ha il controllo di poche aree ed i Paesi limitrofi scendono a patti con le tribù del Fezzan e con Haftar prima che con Tripoli. Vedremo che cosa sortirà il blitz di Macron, ma la situazione non è semplice.
In Yemen, infine, l’orrore di una guerra ma soprattutto di un disastro umanitario senza precedenti: morti causati dai bombardamenti sauditi, una guerra civile in cui si massacrano intere popolazioni ed un Paese in preda alla peggiore epidemia di colera degli ultimi decenni, eppure l’ONU non interviene.

Perché? Sicuramente perché le potenze mondiali non hanno alcun interesse ad avere un’organizzazione internazionale autonoma in grado di poter superare il potere degli Stati. l’ONU stessa, ormai, si trova in un circolo vizioso per cui sopravvive grazie al fatto che gli Stati possono avere ruoli al suo interno. In Yemen, appunto, l’ONU non ha fatto nulla di fronte alla catastrofe umanitaria, semplicemente perché non poteva. Il disfacimento del Paese è  stato infatti provocato dall’Arabia Saudita, che è lo stesso Paese posto dalle  Nazioni Unite a capo della Commissione per i Diritti Umani. È del tutto evidente il  cortocircuito, tale per cui l’ONU non può agire autonomamente. Resta pertanto solo una declinazione della geopolitica mondiale all’interno del Palazzo di Vetro. E come lo Yemen, così tutti gli altri conflitti dimostrano che è la politica internazionale a bloccare ogni possibile attività delle Nazioni Unite.
Dunque cosa resta di un progetto ambizioso di un organismo sovranazionale di livello planetario in grado di dirimere le controversie fra Stati prima che degenerino nella guerra? Sostanzialmente nulla. Le Nazioni Unite sono ormai un palcoscenico per gli attori mondiali che alla fine decidono le sorti del mondo in altri contesti. Del resto, basta osservare il meccanismo di funzionamento del Consiglio di Sicurezza – con il potere di veto assegnato ai vincitori della Seconda Guerra Mondiale – per capire chiaramente come stanno le cose. Il potere d’intervento  nelle guerre in cui confliggevano gli interessi strategici di Russia e Stati Uniti in primis, ma poi anche degli altri Membri, non è mai stato posto nelle mani l’ONU, relegata, viceversa, a missioni di secondo piano.

Le Nazioni Unite sono diventate nel tempo una sorta di ONG mondiale che deve piegarsi al potere degli Stati. Si occupa  dei rifugiati, o di progetti di sviluppo; tenta mediazioni politiche per dirimere conflitti che avranno comunque risoluzione in altre sedi. Nel suo fallimento c’è l’immagine del cambiamento della politica mondiale negli ultimi anni. Prima non funzionava per lo scontro tra Unione Sovietica e Stati Uniti, ora non funziona per via di un mondo multipolare, in cui gli USA, da potenza incontrastata degli anni Novanta e dei primi del Duemila, si sono trasformati in attori tra i tanti Influenti ma non unici. Del resto, un’Organizzazione che decide di inserire l’Arabia Saudita nel Comitato per i diritti della donna dovrebbe essere immediatamente soppressa.

D.Bart.

martedì 4 luglio 2017

Sud Sudan. Le atrocità del conflitto hanno trasformato Equatoria in un campo di morte.

Ci sono migliaia di sfollati nella regione di Equatoria, il granaio del Paese. È qui che la crisi dei rifugiati che sta crescendo più rapidamente rispetto al resto del mondo nel mondo.
Civili uccisi, pugnalati a morte coi machete e bruciati nelle proprie case;
donne e bambine rapite per essere sottoposte a stupri di gruppo.
In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha denunciato che un nuovo fronte del conflitto del Sud Sudan ha causato atrocità, terrore e fame e costretto nell’ultimo anno centinaia di migliaia di persone ad abbandonare la fertile regione di Equatoria.

Nel mese di giugno, l'organizzazione umanitaria ha documentando come soprattutto le forze governative, ma anche quelle di opposizione, abbiano commesso crimini di diritto internazionale, compresi crimini di guerra, contro la popolazione civile.
Queste atrocità hanno costretto alla fuga verso l’Uganda quasi un milione di persone.
“L’aumento delle ostilità nella regione di Equatoria ha significato brutalità ancora più diffuse contro i civili. Uomini, donne e bambini sono stati uccisi, pugnalati a morte coi machete e bruciati vivi nelle loro abitazioni. Donne e bambine sono state rapite e sottoposte a stupri di gruppo”, ha dichiarato Donatella Rovera, Alta consulente di Amnesty International per le risposte alle crisi, appena rientrata dal Sud Sudan.
Abitazioni, scuole, ambulatori e sedi delle organizzazioni umanitarie… tutto è stato razziato, vandalizzato e raso al suolo. Il cibo viene usato come arma di guerra.
Le atrocità raccontate sono tuttora in corso. Centinaia di migliaia di persone che solo un anno fa si sentivano al riparo dal conflitto, ora sono fuggono.
Per quasi tre anni la regione di Equatoria, nella parte meridionale del Sud Sudan, era stata prevalentemente risparmiata dal conflitto esploso nel 2013 tra le forze dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan fedeli al presidente Salva Kiir e quelle legate all’allora vicepresidente Riek Machar.
Intorno alla metà del 2016 sia le forze governative che quelle di opposizione si sono dirette verso Yei, un centro strategico di 300.000 abitanti 150 chilometri a sud-ovest della capitale Giuba, lungo un’importante arteria commerciale verso l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo.
Le forze governative, appoggiate da milizie locali tra cui la famigerata e impunita “Mathian Anyoor” (composta per lo più da giovani combattenti di etnia dinka), si sono rese responsabili di una lunga serie di violazioni dei diritti umani. Sebbene su scala minore, anche i gruppi armati di opposizione hanno compiuto gravi abusi.
Massacri e uccisioni deliberate

Numerosi testimoni oculari dei villaggi intorno a Yei hanno raccontato come le forze governative e le milizie loro alleate abbiano ucciso numerosi civili in modo deliberato e con accanimento.
In uno di questi casi, la sera del 16 maggio i soldati hanno arrestato 11 uomini del villaggio di Kudupi, nei pressi del confine ugandese. Hanno costretto otto di loro a entrare in una capanna, ne hanno chiuso la porta, hanno appiccato il fuoco e sparato alla cieca. Secondo quattro dei sopravvissuti  due dei prigionieri sono arsi vivi e altri quattro sono stati uccisi dai proiettili.
Joyce, una madre di sei figli del villaggio di Payawa, ha raccontato quanto accaduto il 18 maggio, quando suo marito e altri cinque uomini sono stati uccisi dai soldati:
“Era la quinta volta che l’esercito attaccava il villaggio. Le volte precedenti si erano presi delle cose, avevano portato via degli uomini per torturarli e delle ragazze per stuprarle, poi le avevano liberate. Lo hanno fatto anche a Susie, la nipote di mio marito, di 18 anni. Era il 18 dicembre scorso”.

Il 21 maggio 2017 nove abitanti del villaggio di Gimuni sono stati rapiti dai soldati. La polizia locale ha ritrovato i loro corpi, segnati dai colpi di machete, intorno alla metà di giugno. Com’è normale quando i soldati uccidono dei civili, nessuno è stato chiamato a risponderne.
Gli attacchi contro i villaggi da parte delle forze governative paiono spesso motivati dal desidero di rappresaglia contro le forze armate di opposizione attive nella zona. I combattenti dell’opposizione hanno a loro volta compiuto uccisioni deliberate di civili sospettati di parteggiare per il governo o per il solo fatto di essere di etnia dinka o rifugiati provenienti dai monti Nuba, ritenuti dalla parte del governo.

-Stupri e altra violenza sessuale e di genere-

Con l’intensificazione dei combattimenti, il numero dei rapimenti e degli stupri di donne e bambine è cresciuto vertiginosamente.
“Il solo modo di essere al sicuro per donne e ragazze è quello di essere morte. Non c’è modo di esserlo fino a quando sei viva. È brutto da dire ma la situazione è questa…“, ha detto Mary, 23 anni, madre di cinque figli.
Nell’aprile 2017 tre soldati hanno fatto irruzione nella sua abitazione in piena notte e due di loro l’hanno stuprata. Lei si è trasferita in un’altra abitazione abbandonata ma una notte uno sconosciuto ha appiccato il fuoco, costringendo la famiglia a fuggire ancora una volta.
Le donne rischiano di essere stuprate soprattutto quando, a causa della scarsità del cibo e dei continui saccheggi, vanno a cercare qualcosa da mangiare nei campi intorno ai villaggi.
Sofia, 29 anni, ha raccontato di essere stata rapita due volte dai gruppi armati di opposizione. L’hanno tenuta prigioniera insieme ad altre donne per un mese la prima volta e per una settimana la seconda volta, stuprandola ripetutamente in entrambe le occasioni, sebbene supplicasse di essere risparmiata in quanto madre di tre figli e vedova di un uomo ucciso dalle forze governative.
In seguito, Sofia è fuggita a Yei dove ha grande difficoltà a procurare da mangiare alla sua famiglia.

- Il cibo come arma di guerra-

L’accesso della popolazione civile al cibo è estremamente limitato. Sia il governo che i gruppi di opposizione hanno bloccato le forniture in determinate zone, si dedicano a saccheggiare i mercati e le abitazioni private e prendono di mira chi prova a passare lungo la linea del fronte anche con una minima quantità di cibo. Ognuna delle parti accusa i civili di passare cibo a quella avversa o di essere sfamata da questa.
A Yei, dove la maggior parte degli abitanti è fuggita nel corso dell’ultimo anno, i pochi civili rimasti sono praticamente sotto assedio. Non potendo più andare in cerca di cibo nei campi, soffrono per la grave penuria di prodotti alimentari.
Il 22 giugno le Nazioni Unite hanno ammonito che l’insicurezza alimentare ha raggiunto livelli senza precedenti in Sud Sudan.
È crudelmente tragico che questa guerra ha trasformato il granaio del Sud Sudan, che un anno fa poteva sfamare milioni di persone, in un campo di morte che ha costretto quasi un milione di persone alla fuga in cerca di salvezza.

Tutte le parti in conflitto dovrebbero  riprendere il controllo dei combattenti e cessare immediatamente gli attacchi contro i civili, peraltro protetti dalle leggi di guerra. I responsabili delle atrocità, in qualsiasi parte militino, devono essere sottoposti alla giustizia. Nel frattempo è fondamentale che i peacekeeper delle Nazioni Unite eseguano il loro mandato che è quello di proteggere i civili dalla carneficina in corso.

D.Bart.