Essere di destra oggi non è un’opinione, no, è proprio una diagnosi. Un cortocircuito mentale che si spaccia per identità.
È come se una parte del cervello si fosse proprio inceppata, bloccata su due o tre slogan da stadio, ripetuti a pappagallo mentre il mondo, beh, va avanti e loro restano lì, a inseguire una bandiera sbiadita.
A volte pensi : ma dai, non è possibile! Non possono essere così ottusi, così dannatamente banali, così allergici alla realtà da fare dell’ignoranza un manifesto politico.
Non possono davvero pensare che un meme preso da un gruppo WhatsApp – uno qualsiasi! – sia una prova storica, o che un libro, uno solo, serva solo come fermacarte per il loro tavolino. E invece eccoli lì, a brandire crocifissi nei selfie come se fossero clave, a urlare “valori” con la convinzione di chi legge la lista della spesa di un discount.
Ma ti chiedi, sul serio, come fanno a vivere senza mai aprire un libro? Senza un minimo di curiosità, senza un briciolo di dubbio che li spinga fuori dal loro cortile mentale, tutto recintato con filo spinato. Come si fa a scambiare la violenza per ordine, l’arroganza per patriottismo, l’ignoranza per una medaglia da mettersi al petto? Come si può, tirare in ballo Dio, i Vangeli, la “tradizione” per giustificare cattiveria, rancore, e quella totale, completa incapacità di pensare? È come se avessero preso il Vangelo e l’avessero usato per accendere un falò, ma non di legna, di libri!
Poi apri X e trovi i post di Salvini, Meloni, Lollobrigida – la santa trinità dell’imbarazzo nazionale. Selfie davanti a un crocifisso, con quei sorrisi che sembrano usciti da un catalogo di televendite di quart’ordine. Twittano di “popolo” e “gente vera”, ma poi inciampano in gaffe che farebbero arrossire un bambino delle elementari – tipo Meloni- che parla di “sovranità”, ma sembra confonderla con un condimento per la pasta. Coltivano l’ignoranza come un orto di cemento, la coccolano, la trasformano in voti. E, incredibile, ci riescono pure.
E poi, i commenti! Un circo di no-vax che giurano che il vaccino è un chip 5G, putiniani che vedono Mosca come il faro della libertà, terrapiattisti con un master in Google e negazionisti del clima che dicono che l’estate è solo “un po’ più calda”. Gente che scambia la propria incapacità di capire un grafico per la prova che il mondo è un complotto. Gente che trasforma il proprio fallimento esistenziale in una crociata contro “i poteri forti”. E che cosa fanno? Votano chi è fatto esattamente come loro: confuso, arrogante, rancoroso. Stupido. E fiero di esserlo!
Non è solo ignoranza, è proprio una scelta di vita. Una struttura mentale che odia la complessità come se fosse un insulto personale. È la psicologia dell’autoritarismo, quella studiata già negli anni ’50: rigidità cognitiva, paura dell’ambiguità, un bisogno disperato di un capobranco che urli al posto loro. Chi ama l’autoritarismo non regge il caos della libertà. Hanno bisogno di certezze, anche se sono balle; di gerarchie, anche se schifose; di un nemico da odiare, anche se inventato. La violenza, per loro, è una scorciatoia: un pugno sul tavolo che zittisce le domande, un manganello che disegna un ordine fittizio. È il loro modo di calmare l’ansia di un mondo troppo grande, troppo complicato, troppo pieno di sfumature che non capiscono. Non riescono a pensare, e allora colpiscono. Non riescono a capire, e allora seguono. E trovano rifugio in chi promette muri, divise, slogan gridati a squarciagola, perché il silenzio della riflessione li spaventa a morte.
Questi bisogni psicologici – sicurezza, appartenenza, controllo – si trasformano in politiche. Votano per chi dà risposte semplici, anche se sono sbagliate; per chi agita il pugno e chiama “giustizia” la prepotenza; per chi trasforma l’insicurezza personale in un’ossessione per i “confini” e l’“identità”.
È come se la loro fragilità mentale avesse bisogno di un dittatore da applaudire, di un “uomo forte” che li salvi dal dover pensare da soli. La violenza diventa il loro feticcio, non solo fisica, ma verbale, culturale, politica. È il loro modo di sentirsi vivi, di coprire il vuoto di un cervello in modalità risparmio energetico, come una lampadina fulminata.
Bisogna quasi ammirarli: ci vuole un talento raro per fare dell’ottusità una bandiera e della superficialità un programma politico.
Chi è di destra oggi si rifugia in questa modalità Non deve pensare. Non deve cambiare. Non deve capire. Basta appartenere. Basta odiare. Basta gridare “prima gli italiani” mentre il cervello si spegne.
E non è un caso se lì trovi sempre corrotti, cialtroni, razzisti, ministri che sembrano usciti da un reality show. Gente che, in un mondo normale, non gestirebbe nemmeno un chiosco di granite, e invece eccola lì: a legiferare, urlare, incassare. A rappresentare il “popolo vero”. E i loro elettori? Si sentono la “maggioranza silenziosa”, la “gente che lavora”. Ma se gratti un po’ la superficie trovi un deserto di idee, un abisso di ignoranza, una collezione di pregiudizi spacciati per verità assolute. Odiano chi studia, chi dubita, chi pensa. Perché pensare è fatica.
Essere di destra oggi è scegliere la corsia preferenziale per l’abisso culturale. È dire: “Non voglio sapere, non voglio capire. Voglio solo urlare più forte.” È applaudire chi sbraita di più, perché ti fa sentire meno solo nella tua rabbia confusa. È votare come se scegliessi il gusto di un gelato avariato, convinti che sia alta cucina.
E il vero mistero? È come facciano a radunarsi nei loro circoli, a condividere meme che sembrano scritti da un generatore di frasi a caso, a guardare i loro condottieri analfabeti in TV e pensare: “Sì, questo è il piano, questo è il nostro riscatto!” Un riscatto che non arriva mai, perché la loro rivoluzione è solo un post su X con l’hashtag sbagliato, due errori di ortografia e un emoticon messo a caso.
(@X:Timostene)