venerdì 28 giugno 2019

SEA WATCH3: PERCHÉ CAROLA RACKETE HA RISPETTATO DIRITTO INTERNAZIONALE E LEGGI ITALIANE.

L’obbligo di soccorso in mare è previsto sia dal diritto internazionale consuetudinario (che nel nostro ordinamento ha valore di diritto costituzionale in base al rinvio operato dall’art. 10 Cost.), sia dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM) e dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare (SAR) (entrambe ratificate dall’Italia e che nel nostro ordinamento hanno valore di legge, anzi superiore alla legge per l’art. 117 Cost.). Per previsione espressa di quest’ultima Convenzione il soccorso si conclude solo con lo sbarco delle persone in un porto sicuro, che è un porto in cui la loro vita non è più in pericolo e i diritti umani fondamentali sono loro garantiti. La comandante della nave Sea Watch 3, Carola Rackete, ha deciso di non rispettare il divieto di ingresso nel mare territoriale italiano e portare finalmente i migranti soccorsi il 12 giugno scorso verso un porto sicuro per lo sbarco. Nonostante la si accusi ora di aver violato le leggi dello Stato italiano, e in particolare il divieto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina previsto dall’art. 12 del d.lgs. 186/1998 e il divieto di ingresso imposto dal Ministro dell’Interno sul fondamento del DL 53/2019, c.d. sicurezza-bis, la comandante Rackete, fin dall’inizio dei soccorsi, non ha fatto altro che rispettare un obbligo imposto dal diritto internazionale e dalle leggi sia italiane sia del suo stato di bandiera. Ciò che in tutta questa vicenda appare invece manifestamente illegittimo, sia dal punto di vista del diritto costituzionale italiano sia del diritto internazionale è proprio il c.d. decreto sicurezza bis. L’unico porto di sbarco che era stato indicato alla Sea Watch 3 è il porto di Tripoli, dove nessuno sbarco di migranti è lecito perché in ragione delle gravissime violazioni dei diritti umani fondamentali che i migranti subiscono in Libia, nonché del conflitto in corso, la Libia non può essere in alcun modo considerata un porto sicuro (si veda da ultimo la Raccomandazione agli stati della Commissaria ai diritti umani del Consiglio d’Europa). Come deciso dal GIP di Trapani in una recente sentenza l’essere riportati in Libia avrebbe costituito un’offesa ingiusta alla quale i migranti stessi avrebbero potuto opporsi anche con la forza in legittima difesa (art. 52 c.p.). Una volta chiarito che verso Tripoli la Sea Watch non avrebbe in alcun caso potuto dirigersi, la comandante si è lecitamente diretta verso il porto sicuro più vicino, e quindi Lampedusa. Tutti gli stati membri della Convenzione SAR hanno l’obbligo di cooperare affinché il comandante della nave che ha prestato soccorso sia liberato dalla propria responsabilità (ovvero possa far sbarcare le persone soccorse) nel minor tempo possibile e con la minor deviazione dalla propria rotta. L’aver individuato Lampedusa come luogo di sbarco costituisce quindi non solo un comportamento legittimo, ma anche il più ovvio da parte della Comandante che aveva una legittima aspettativa di vedersi assegnare lì un luogo di sbarco. Starà alla magistratura valutare eventuali responsabilità penali a carico della comandante e dell’equipaggio della nave, ma è presumibile che anche qualora eventuali comportamenti illeciti siano constatati venga comunque riconosciuta la scriminante dello stato di necessità (art. 54 c.p.) o dell’aver commesso il fatto in adempimento di un dovere (art. 51 c.p.). Va in ogni caso ricordato che in nessuno dei casi in cui sono state aperte indagini a carico di Ong per i soccorsi in mare si è mai giunti a una condanna: quando i giudici si sono pronunciati hanno sempre considerato legittimo il comportamento di chi aveva prestato il soccorso in mare. Se di responsabilità si vuole parlare, sarebbe meglio parlare di quelle dell’Italia. Va infatti considerato che la nave, probabilmente già da prima, ma sicuramente da quando è entrata nelle acque territoriali italiane, si trova sotto la giurisdizione dell’Italia per l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, pertanto il prolungarsi del trattenimento a bordo della nave dei migranti, già estremamente provati, integra da parte dello Stato italiano una violazione dell’art. 3 e dell’art. 5 della Convenzione . Su questa conclusione non incide il rifiuto della Corte di imporre all’Italia misure cautelari ed urgenti, tale pronuncia, infatti, non è sul merito della vicenda ma, appunto, solo sulla misura cautelare. È un fatto che le norme dell’ordinamento internazionale e costituzionale sono sempre più spesso violate da politiche di ostacolo alle operazioni di soccorso in mare. Fonte: FRANCESCA DE VITTOR, docente di Diritto internazionale e Diritti dell’uomo alla facoltà di Giurisprudenza

sabato 22 giugno 2019

MIGRANTI: QUANDO LA REALTA' DIVERGE DA FANTASIA, PROGRAMMI E PROCLAMI.

Nonostante le roboanti dichiarazioni di chi si autoproclama salvatore e guardiano delle patrie frontiere, in Italia i clandestini aumentano. 
Così come, di pari passo, aumenta l’insicurezza.
La crudele battaglia contro i barconi  e la criminalizzazione di chi salva la gente in mare ha il solo scopo di stendere il classico velo sui pasticci e sul fallimento della politica migratoria del Ministro dell’Interno, Matteo Salvini.

Innanzitutto, non è vero che tutti i migranti arrivano sui barconi. Dall’Africa, come da ogni altra parte del mondo, si arriva via terra, con gli aerei, spesso con visti turistici. Solo  il 5 percento dei migranti sbarca sulle nostre coste.

Con il decreto sicurezza, 120 mila migranti sono diventati irregolari, quindi clandestini, perciò potenziale manovalanza per la criminalità organizzata e mafie varie.

Solo negli ultimi sei mesi la Germania ha rimandato in Italia 1200 migranti. Particolare che il Ministro dell’Interno ha evitato di divulgare. Preoccupato com’è che il crescente consenso nei confronti della sua politica possa subire una sia pur lieve flessione. 

Lo stesso Ministro, peraltro, non si presenta alle riunioni europee appositamente organizzate per rivedere il trattato di Dublino. In particolare per ridiscutere il  regolamento che impone di inoltrare la richiesta di asilo nel paese di prima accoglienza: un passaggio importante che, al momento,  addossa tutto il peso degli arrivi sui paesi più facilmente raggiungibili attraverso le rotte del Mediterraneo, come l’Italia e la Grecia. 

Intanto, mentre si sbandiera il successo “umanitario” di aver ridotto le morti in mare, nell’ultimo anno sono annegati nel Mediterraneo 1500 migranti. Per dire di quelli che si sono potuti contare; quanti altri non sappiamo. 
Attualmente almeno 1 migrante su 6 muore durante la traversata. Nel 2017 ne moriva  1 su 19. 



1 migrante su 2 muore  nei campi libici; perciò dei 10.000 migranti riportati in Libia quest’anno ne sono stati condannati a morte 5.000
Tutti gli esseri umani passati per i campi libici hanno subito torture, stupri e violenze di ogni genere, tra cui la schiavitù.
Riportarli in Libia, quindi, significa rendersi complici di un massacro, giacché, spesso, gli stessi scafisti sono uomini della guardia costiera libica ai quali lo Stato italiano ha delegato  la “sicurezza” dei rifugiati e dei migranti.

È così che si alimentano insicurezza, paura, avversione, razzismo, crudeltà. Ciò che per i sovranisti-nazionalisti è un successo. Mentre  ad altri fa orrore.

D.Bart.